La rivoluzione della cura

di Arnaldo Casali

Non curare ma prendersi cura, integrare sistema sociale e sanitario, non patologizzare ma aiutare la persona nel complesso delle sue fragilità.

Una vera e propria rivoluzione del concetto di cura è quella auspicata da Mariella Enoc nel corso dell’evento di presentazione della seconda edizione della Caring School promossa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II in collaborazione con gli uffici nazionali per la Famiglia e per i Problemi Sociali e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana e la Caritas di Roma.

L’incontro – che si è svolto nell’auditorium del Jp2 il 26 ottobre – ha visto l’ex presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù affiancata da Pier Davide Guenzi e Milena Santerini.

“Cerchiamo di perdere un po’ di tempo con gli altri” ha detto Enoc: “Abbiamo tutti un’ansia da prestazione e deleghiamo a badanti, ospedali, medici. Viviamo in una società medicalizzata e improntata all’efficienza, e tendiamo a categorizzare le fragilità. Ma la verità è che abbiamo bisogno di una collettività che si prenda cura di tutte le fragilità, con uno sguardo ampio e aperto”. “Prendersi cura – prosegue l’imprenditrice – non significa solo curare le malattie. Solo se riconosciamo la nostra fragilità saremo in grado di accogliere quella dell’altro”.

Enoc confessa di non essersi mai interessata ai bambini prima di gestire il più importante ospedale pediatrico italiano: “Non ho figli né nipoti e nei miei otto anni di presidenza mi dicevano che non sopportavo il volontariato perché dicevo: Anziché stare sempre a trastullare i bambini perché non passate un po’ di tempo con gli anziani, ad ascoltare quello che hanno da dire?”.

Enoc ricorda anche la sua esperienza in Africa: “Un continente schiavizzato che ha subito tanta beneficienza ma non è mai stato veramente amato. Ho conosciuto tanti bambini di paesi in guerra, bambini siriani bruciati sull’80% del corpo, bambini della Repubblica del Centrafrica, cambogiani; ho cercato di accoglierne il più possibile perché il Bambino Gesù diventasse l’ospedale dei figli del mondo”.

La dottoressa solleva poi il problema di un dramma sommerso: quello delle malattie psichiatriche. “Al Bambino Gesù i suicidi sono aumentati del 130%. Perché? Io non ho una risposta ma vi posso dire che questi ragazzi sono terribilmente soli. Nella nostra società c’è una solitudine preoccupante e disastrosa che non si copre con le grandi iniziative: serve la relazione. E anche i preti – che durante la settimana non hanno poi troppo da fare – potrebbero passare un po’ di tempo con queste persone che hanno bisogno di sentirsi accolte”.

Enoc parla anche del suo rapporto con papa Francesco: “Non gli ho mai sentito dire una parola da prete, mai frasi come ‘è una prova che il Signore ti manda”: lui ascolta e abbraccia’”.

Un tema di cui si è discusso molto, nel corso dell’incontro, è stato quello delle case di riposo: “Non vanno prese come prima opzione, ma nemmeno demonizzate” dice Enoc.

“L’anziano non può essere un fiore da annaffiare, è una persona con cui relazionarsi e che ha bisogno di punti di riferimento. Fino a quando è possibile deve vivere nella sua casa, e non dai figli”.

“Quello che cerchiamo di fare con la Caring School – spiega Milena Santerini, vicepreside dell’Istituto Jp2 – è prendersi cura di chi si prende cura, nell’ottica di una comunità a cui viene affidato il ruolo di cura con una continuità di servizi e quindi non dividere e frammentare la persona ma rispondere a bisogni diversi”.

Riguardo alle Case di riposo, Santerini cita il decreto firmato a marzo e sul quale ha lavorato anche il Gran Cancelliere dell’Istituto Vincenzo Paglia: “Venticinque anni fa abbiamo deciso che nel nostro paese era immorale tenere i bambini dentro grandi istituti così come era stato deciso qualche decina di anni prima che era colpevole tenere segregati i malati psichiatrici, quindi abbiamo avuto due grandi rivoluzioni sociali e cioè l’idea che tutti avessero diritto a una famiglia. Non possiamo fare lo stesso per gli anziani?”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scarica la pagina di “Avvenire” in pdf