Nei legami che contano il senso ultimo della libertà – intervista a Giovanni Salmeri

di Luciano Moia

Libertà come assenza di legami? O come espressine assoluta del principio di autodeterminazione? E come coniugare questi valori con la vita, la responsabilità, la verità? I temi trattati dai vescovi nel messaggio per la Giornata per la vita 20121 impongono di fare chiarezza sul significato autentico attribuito a parole spesso equivocate, fraintese, interpretate in modo divergente, antietico. Solo un caso? Una piega inevitabile della cultura di massa? Oppure una strategia?

“Quando le parole, anche quelle più comuni, vengono ridefinite in maniere diverse, diventa difficile quasi impossibile, pensare in maniera diversa da come i grandi poteri (politici, economici, sociali) desiderano” osserva Giovanni Salmeri, docente di filosofia alla Sapienza di Roma e al Pontificio istituto teologico “Giovanni Paolo II”.

I vescovi parlano del rapporto verità e libertà, coniugando questo binomio con altri tre concetti: amore, responsabilità e verità. Perché, oggi, quando si affronta il tema della generazione, è necessario rispiegare questi valori?

“Mi pare che il problema sia universale: le parole con il passare del tempo vengono usate in maniera differente, e come si usa dire, ‘il significato di una parola è il suo uso’. In più, alcune passano di moda e appaiono legate a un mondo passato, mentre altre vengono introdotte e appaiono come il simbolo di una sensibilità più moderna. Modificare il linguaggio è anche uno strumento di potere: è geniale l’intuizione di George Orwell che in 1984 descrive la “neolingua” come il mezzo usato da una dittatura per controllare ciò che le persone pensano. Certo non bisogna vedere paranoicamente complotti dappertutto, per fortuna non viviamo in una dittatura e ognuno ha, forse come mai, la possibilità di avere accesso ad enormi tesori di cultura. Non bisogna nemmeno la cultura contemporanea come nemica. Però credo che dobbiamo stare attenti ad usare e spiegare le parole e alcuni dei termini che stanno al centro di questo messaggio sono esattamente quelli sui quali i fraintendimenti possono essere maggiori. La tradizione cristiana ha certamente le sue parole, o almeno un suo modo particolare di intenderle: che vi sia un invito a ricordare questa storia e a credere che ancor oggi si possa giocare un suo ruolo mi pare giusto. Il rischio è altrimenti che il discorso cristiano cada nell’insignificanza totale, che sia per esempio una replica dei (magari anche giusti) discorsi umanistici oggi comunemente diffusi. Ma un cristianesimo che dice le stesse identiche cose di altri, e magari solo con qualche decennio di ritardo, non serve a nessuno”.

Ma come mai oggi l’idea di libertà, più che a un progetto di impegno, è sempre più spesso coniugata con una volontà di autodeterminazione senza limiti?

Questo è esattamente uno dei casi in cui una parola più significare diverse cose. Nel caso della libertà il problema risiede anche nel fatto che oggettivamente la sua esperienza è complessa. Ogni discorso sulla libertà si muove allora tra diversi poli: per esempio quelle delle condizioni esterne di esercizio (in una dittatura si è meno liberi che in una democrazia, per esempio), quello della capacità personale (allora si può dire ‘quella è una persona libera’), quello di un’affermazione antropologica di principio (secondo cui “l’uomo è un essere libero”). Sono tutti significati giusti, leciti, ma anche differenti, ma a seconda di quello che si sottolinea gli accenti cambiano molto. La nostra epoca, nel mondo occidentale, spesso è il primo aspetto quello più sottolineato: non avere nessun potere pubblico (o anche famigliare, per esempio) , che costringa a fare o non fare qualcosa, ma poter deliberare su tutto ciò che riguarda personalmente. Il problema è che a volta la libertà risultante è un’illusione: quante centinaia di libere dichiarazioni di assenso (anche solo all’uso dei cookies) ognuno di noi deve ridicolmente sottoscrivere in nome della propria autodeterminazione, senza però poter sapere o capire nulla delle poste in gioco? Ecco, già questo fa intuire che una mancanza di costrizione non è sufficiente, e anche la semplice “informazione” (pensiamo ai “consensi informati”) non è affatto sufficiente, se contemporaneamente non si ha il tempo, la pazienza, l’impegno di capire quale sia il valore umano delle cose che scegliamo. Essere liberi è insomma una fatica: bellissima, ma pur sempre una fatica.

Ma le “liberazioni” celebrate nei decenni scorsi sono state veramente e solamente tali?

Si può avere qualche dubbio. Pasolini negli anni ’70 vedeva nella liberazione sessuale l’espressione di una cultura dai “tratti feroci e sostanzialmente repressivi, in cui tutto vuole essere deciso con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto”. Non credo che esagerasse molto. Bisogna almeno riconoscere che non è stata solo una conquista essersi liberati dalle condanne di fronte a comportamenti un tempo stigmatizzati, per poi cadere tra le braccia di una cultura che prescrive il godimento a tutti i costi: il che vuol dire anche il consumo a tutti i costi, salvo poi accorgersi che, oltre che consumatori di merce, diventiamo noi stessi merce. Accusare di questo l’economia e correre dietro a utopie fantastiche mi pare molto miope: il problema è (per fortuna o purtroppo) ad un livello diverso. Parlare di libertà significa proprio entrare in questo livello, che per esempio tocca l’educazione, la cultura, il mondo della comunicazione. Comunque vengano interpretati tutti questi problemi, è difficile negare che l’unilateralità odierna nella concezione della libertà, proprio perché vede ogni legame come una minaccia, vada a danno dei legami. Si nasce sempre da qualcuno, per esempio senza nulla perdere delle conquiste dell’età contemporanea, credo che un nuovo bilanciamento debba essere cercato.

Quali punti occorre tenere presenti per educare all’uso ragionevole della libertà?

E’ un problema enorme, come tutti quelli che riguardano l’educazione. Tra l’altro, nelle nostre società occidentali lo stesso controllo sulle influenze educative è sempre più problematico: se oggi la maggior parte dei ragazzi hanno un telefono in mano, ciò significa che sono sotto l’influenza di un torrente di comunicazioni di gran lunga maggiore di quello che gli adulti hanno mai sperimentato in tutta la loro giovinezza. Però non penso che questo debba scoraggiare, perché le cose vere hanno una capacità straordinaria di attraversare anche le coltre più spessa di finzioni. Un punto di partenza potrebbe essere questo: il fatto che almeno a dar retta ad un’enorme tradizione filosofica e anche teologica, il desiderio fondamentale degli esseri umani non è essere liberi: è essere felici. Certo, anche la parola “felicità” può essere equivocata, ma fa riferimento un’esperienza elementare che più facilmente viene riconosciuta e più difficilmente può essere dissimulata. Un teologo medievale che amo molto, Giovanni Duns Scoto, argomentava che perfino il demonio, che può ingannare l’uomo su innumerevoli cose, non può però fargli credere che è felice se non lo è.

Perché è così facile fare confusione tra libertà, autodeterminazione e assenza di legami?

Questi sono temi che molto facilmente vengono capiti. Mi ricordo uno studente che anni fa aveva seguito un corso in cui avevo parlato più o meno di tali questioni. Alla fine dell’esame mi disse con un velo di tristezza: “Sono contento di aver scelto questo corso per la mia laurea, ma l’ho fatto per ultimo, e arrivato alla fine ho capito di avere sbagliato tutto”. E si trattava solo di un mio asettico corso universitario, in cu non avevo avuto la minima pretesa di educare nessuno, ma solo di descrivere alcuni problemi! In effetti vedo molti segni che suggeriscono che in fondo, malgrado tutti i discorsi contrari, tutti capiscono che c’è qualcosa più importante di una libertà intesa come assoluta determinazione di sé. Io sono per esempio tra coloro che pensano che le restrizioni alla libertà personale per motivi sanitari siano state in questi mesi eccessive e un po’ disordinate: ma trovo ciononostante significativo che una recente indagine abbia accertato che la maggior parte degli italiani sono pronti a cedere porzioni di libertà in cambio di più sicurezza e salute. Insomma, si percepisce istintivamente che c’è qualcosa di più importante rispetto al poter fare ciò che si vuole. Credo allora che a volte per rimettere in prospettiva tante cose basterebbe rivolgere una semplice e rivoluzionaria domanda: “Ma facendo questo sei più felice o no?”. La tradizione cristiana dovrebbe essere esperta di questo genere di domande. Quando essa insisteva tanto sull’obiettivo della vita eterna, in fondo non faceva altro che mettere davanti agli esseri umani l’obiettivo di una felicità così grande da essere in grado di infrangere anche il muro della morte. Non mi pare una piccola cosa. Se Francesco Guccini ha iniziato ognuno dei suoi innumerevoli concerti con una canzone sul senso della vita e della morte, probabilmente si può pensare che questo è un tema universamente umano”.

(da Noi – famiglia & vita – gennaio 2021)