Le sfide della famiglia in Africa

di Arnaldo Casali

“La famiglia in Africa è un terreno di speranza in lotta con il pensiero individualista imposto dalla globalizzazione”.

Magloire Okry è da qualche mese il vicepreside della sezione del Benin del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, sezione che ha celebrato quest’anno i 25 anni dalla fondazione, voluta a Cotonou dallo stesso papa Wojtyla nel 1997 e diventata un punto di riferimento per l’intera Africa nel lavoro a sostegno della famiglia.

“Se in occidente si dice ‘cogito ergo sum’ in Africa il motto è ‘cognatio ergo sum’: perché è la relazione che ci fa vivere. Ci riconosciamo esseri umani quando siamo in relazione con gli altri”.

“Al di là delle difficoltà che conoscono le famiglie – continua il vicepreside – in Africa c’è la tendenza a dare priorità alla dimensione della comunione e della comunità nell’ambito della famiglia. Ognuno si sente persona umana quando è in relazione con gli altri”.

Attorno alla famiglia in difficoltà, allora, si raccoglie una nuova famiglia, composta dalle relazioni sociali, che la sostiene. In questo, dice don Orky, l’Africa può farsi missionaria in occidente nella riscoperta del sostegno all’istituzione famiglia, che in Europa sembra destinata a soccombere sotto un individualismo esasperato e un consumismo che porta a “rottamare” anche le relazioni e a imporre al matrimonio un’obsolescenza programmata.

“E’ stata la provvidenza che ha fatto arrivare in Benin l’Istituto Jp2 – continua il vicepreside – prima come centro di pastorale, poi con una sezione che accoglie gli studenti di quasi tutta l’Africa: in origine quella francofona ma anche, da qualche anno, l’area anglofona e quella lusofona”.

“Dobbiamo aprire gli orizzonti – aggiunge Okry – con ricerche approfondite su questioni come l’inculturazione e il rapporto tra i matrimoni religiosi e i matrimoni civili”.

Un dato particolarmente significativo è che lo studio della famiglia diventa un veicolo di dialogo ecumenico e interreligioso: la sezione africana del Jp2 non attira infatti solo studenti cattolici, ma anche protestanti e musulmani.

Ad ogni modo il tema della famiglia è un’emergenza che interessa soprattutto i laici, come testimonia Paul, studente del Congo che ha passato cinque anni a Cotonou.

“In 25 anni solo tre preti sono venuti dal Congo a formarsi all’Istituto Jp2. Se aspettiamo che gli studi sulla famiglia siano sviluppati dagli operatori pastorali il futuro sarà molto difficile. E’, importante, invece, che anche i laici si impegnino su questo fronte. Abbiamo tutti bisogno di essere formati alle nuove sfide del matrimonio, e sono talmente tante, queste sfide, che se non abbiamo una formazione adeguata resteremo lontani dalla realtà; per questo è importante un’assunzione di responsabilità da parte di tutti, a cominciare dalle coppie”.

“Giovanni Paolo II ha sottolineato come la famiglia rappresenti il primo luogo di formazione. Quale sarà, sotto questo profilo, il ruolo de 55 paesi dell’Africa?” si chiede Roger Houngbedji, arcivescovo di Cotonou.

“C’è ancora lavoro da fare nei paesi africani per un’adeguata comprensione e interpretazione dell’uomo e della donna in ciò che è essenzialmente umano e africano, senza confusioni né giustapposizioni. Si tratta della sfida del rapporto tra solidarietà e personalità all’interno delle norme etiche della famiglia africana”.

“Oggi, nel contesto di una postmodernità aggressiva – continua Houngbedji, che è anche vice gran cancelliere del Jp2 – ci troviamo ad affrontare la sfida del rendere conto di un’antropologia concreta della condizione familiare, che miri ad una vera liberazione dell’uomo africano nel suo incontro con Cristo”.

Una sfida particolarmente importante, come sottolinea l’arcivescovo, è quella della sacramentalità del matrimonio in Africa.

“Le coppie sposate rappresentano una percentuale molto bassa” spiega Emmanuel Dassi Youfang, vescovo di Bafia in Camerun, che nella sua diocesi ha voluto prolungare l’Anno Famiglia Amoris Laetitia con un anno “Duc in Altum”.

“Ci sono molte coppie che si sono allontanate della via sacramentale a causa della loro situazione, quando potrebbero sposarsi. Alcuni hanno già preso l’impegno di prepararsi al sacramento del matrimonio, ma molti altri continuano ad esitare. E parlo di gente che ha anche importanti responsabilità nella propria parrocchia. Dobbiamo fare tutto il possibile per sensibilizzare queste coppie e accompagnarle nel discernimento della loro vocazione. Dovremmo anche essere sensibili alla situazione dei fedeli che possono beneficiare della Sanatio in radice per ritrovare la vita sacramentale”.

“Quella delle scienze del matrimonio e della famiglia è la sfida di un’esigenza teologica radicata nella novità cristiana dell’incontro con i popoli africani” riprende monsignor Houngbedji: “Abbiamo bisogno di uno studio approfondito della condizione familiare in Africa per trovare il giusto equilibrio tra la trasmissione dell’eredità umana, cristiana e africana in prospettive nuove e universali”.

Tutto questo cercando di capire anziché giudicare: “La nostra antropologia parla di Ubuntu, che è proprio la “gioia dell’amore”, ovvero Amoris Laetitia spiega don Jerry Jumbam, che viene dal Camerun ed è docente di Teologia e interculturalità all’Angelicum.

Amoris Laetita insegna ai preti, ai vescovi e ai catechisti che prima di formare la coscienza dei fedeli, devono lasciare i fedeli liberi di usare la loro coscienza. Per troppo tempo abbiamo trattato i laici come bambini da nutrire con i nostri insegnamenti. Adesso il Papa ci lancia questa sfida: lasciarli vivere la loro vita, lasciarli anche sbagliare e imparare dagli errori. Ci spiega che quando vogliamo aiutare le persone che soffrono per un matrimonio ferito non dobbiamo cominciare dalla dottrina, ma ascoltare la loro storia per capire da dove arriva il problema e come viene vissuto”.

“Non dobbiamo solo formare le coscienze – conclude Jumbam – ma accompagnarle”.

(da Avvenire del 15 gennaio 2023)

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