Giubileo d’argento dell’Istituto Jp2 in Benin – L’omelia del vicecancelliere Roger Houngbedji

Sua Eccellenza monsignor François Gnonhossou, vescovo di Dassa-Zoumè e presidente della Commissione episcopale per l’Apostolato dei laici e della famiglia,

Sua Eccellenza monsignor Aristide  Gonsallo, vescovo di Porto-Novo,

Sua Eccellenza monsignor Antoine Ganyén, arcivescovo emerito di Cotonou,

Louis Vlavonou, presidente dell’Assemblea Nazionale,

Autorità politiche e amministrative, nei vostri rispettivi ranghi, qualità e gradi,

Reverendissimo monsignor Philippe Bordeyne, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Roma,

Reverendi padri concelebranti,

Distinti membri del corpo docente nei vostri ranghi, gradi e funzioni,

Carissimi studenti,

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

Oggi, 5 novembre 2022, noi ricordiamo che esattamente 25 anni fa monsignor Isidore de Souza accoglieva in questa diocesi, per la nostra terra d’Africa, l’Istituto Cattolico dell’Africa Francofona.

Di generazione in generazione, l’Istituto è cresciuto, ed eccoci in questo auditorium, dedicato alla memoria di monsignor Isidore de Souza. Auditorium del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia.

Il tempo passa. I 25 anni passati hanno rappresentato i semi per i 25 anni futuri, i 30 anni, i 50 anni fino alla celebrazione, un giorno, del Centenario dell’Istituto.

Oggi celebriamo i 25 anni di una nascita accademica nel Benin e per tutta l’Africa. Celebrare il giubileo della nascita è particolarmente appropriato per un Istituto dedicato alle Scienze del Matrimonio e della Famiglia. Un anniversario presuppone infatti una nascita, e una nascita non è mai il frutto di una coincidenza. Lontano dall’essere un evento fortuito, la nascita è il frutto della benedizione originaria accordata da Dio alla Creazione. L’anniversario dell’Istituto per il matrimonio e la famiglia in Africa è dunque il nostro anniversario.

Sono lieto che questo giubileo costituisca una delle prime celebrazioni della Chiesa dopo l’apertura dei nostri prossimi due anni pastorali 2022-2024, dedicati all’annuncio della Buona Novella, il Vangelo della Vita in generale e quello della vita del nascituro in particolare per l’anno 2022-2023.

Accogliamo con gioia il Giubileo dell’Istituto Giovanni Paolo II come un segno della Provvidenza che conferma la nostra attenzione all’evangelizzazione a partire dalla cultura della vita come una benedizione del Signore.

Allora, fratelli e sorelle, siate benedetti dal Signore! L’anniversario dell’Istituto Giovanni Paolo II è il nostro anniversario! A tutti e a ciascuno auguro buon compleanno, un felice compleanno!

Il Giubileo della nascita è un momento privilegiato per una rilettura della vita. E’ un momento di raccoglimento per un nuovo inizio. Per meglio vivere questo evento, la Sapienza ha preparato per noi dei testi estremamente ricchi. Abbiamo scelto quelli della liturgia di san Giovanni Paolo II, fondatore dell’Istituto e canonizzato il 27 aprile 2014, insieme a san Giovanni XXIII. Proveremo a metterci in ascolto della Saggezza, per capire meglio e interpretare meglio quello che lo Spirito ha detto alle Chiese del nostro continente. Una sola domanda potrebbe guidare la nostra meditazione: quale è la sfida principale dell’Istituto Giovanni Paolo II, dopo 25 anni in Africa?

Una lettura d’insieme dei testi liturgici e della vita di Karol Wojtyla potrà portarci ad affermare che la sfida maggiore dell’Istituto, oggi, è la messa in opera di una teologia contestuale, una teologia concreta della condizione umana e familiare in Africa.

In che cosa consiste questa teologia contestuale? Cercheremo di trovare tre punti di riferimento per i nostri studi futuri. In primo luogo, l’ascolto della voce degli osservatori, in secondo luogo, il riferimento alle origini, e infine, la cura pastorale della teologia come servizio reso all’umanità in generale e all’Africa in particolare.

Il primo punto di riferimento per una teologia concreta nell’Istituto in Africa è il lavoro di ascolto delle sentinelle. Con san Gregorio il Grande, bisogna innanzitutto notare che il Signore designa come “Sentinella” colui che manda a predicare. La sentinella sta sempre in alto per vedere da lontano tutti quelli che arrivano. E ogni uomo che riceve l’incarico deve stare in alto con la sua vita e con il suo esempio. In questo modo rende anche un servizio con la sua vigilanza.

Sono molte, le sentinelle. Il profeta Isaia infatti le elogia e ci invita ad ascoltare la gioia dell’Annuncio: “Ascoltate la voce delle sentinelle. Tutte insieme gridano di gioia, perché vedono con i loro occhi il Signore che ritorna a Sion. Gridate di gioia, voi rovine di Gerusalemme, perché il Signore consola il suo popolo, redime Gerusalemme! Il Signore ha mostrato la potenza del suo braccio agli occhi di tutte le nazioni. Tutti gli angoli più remoti della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio”.

Oggi si realizza questo annuncio così antico e così nuovo. Oggi la Santità del Signore si mostra a tutte le nazioni. Tutti gli angoli più lontani della terra hanno visto la salvezza del Nostro Dio. L’invito urgente che ci ha lanciato il profeta si traduce nel verbo “ascoltare!”. Annuncia la sfida della santità come il fulcro di una teologia concreta.

L’arte dell’ascolto è l’eredità maggiore che ci ha lasciato il santo papa Giovanni Paolo II attraverso il carisma del Pontificio Istituto delle scienze del Matrimonio e della Famiglia. In realtà nella vita e nel pensiero del santo papa, il verbo “ascoltare” fa rima con il verbo “pregare”.

Per capire il concetto di ascolto in papa Wojtyla, bisogna averlo osservato nella sua cappella mentre pregava. Di lui si dice che era un “blocco di preghiera”. L’ascolto, come la preghiera, era al centro della sua vita, dei suoi viaggi e dei suoi incontri. Giovanni Paolo II poteva pregare – ovvero ascoltare – quando era solo nella sua cappella, camminando nella foresta, contemplando le montagne, annunciando la Buona Novella della salvezza ai fedeli in tutto il mondo.

La testimonianza che ci ha lasciato il cardinale Philippe Barbarin è molto eloquente. Ha scritto: “Al mio arrivo, nella cappella, ho visto che era là, in ginocchio, davanti al Santissimo Sacramento. A dire il vero, io vedo soprattutto la sua schiena, un po’ incurvata, a simbolizzare l’uomo concentrato che porta su di lui il peso del mondo intero. Sembra essere tutt’uno con colui che è lì, davanti a lui, e che egli adora. Quello che mi colpisce è soprattutto l’impressione che egli sia lì, come un blocco, o piuttosto che sia lì con Gesù, presente davanti a lui su questo altare. Entrambi formano un blocco: la roccia, la pietra angolare. E’ difficile da spiegare. Un vescovo che lo conosceva bene ha scritto: “Davanti al Sacramento non l’ho mai visto se non in ginocchio”.

Alla domanda su come prega il Papa, Giovanni Paolo II risponde ai giovani: “Quando parliamo con qualcuno, non ci limitiamo a parlare, ma ascoltiamo, anche. La preghiera è quindi anche un ascolto. Consiste nel mettersi in ascolto della voce interiore della grazia. In ascolto della chiamata. E allora, mi avete chiesto come prega il Papa e io vi rispondo: come tutti i cristiani; parla e ascolta”.

Cari docenti e cari studenti dell’Istituto Giovanni Paolo II, l’esempio di papa Wojtyla, che coniuga il lavoro dell’ascolto e l’arte della preghiera, sembra essere una sfida viva per l’emergere di una teologia concreta della condizione umana e familiare in Africa. Questo significa che potrete essere dei veri teologi che danno risposte pastorali soddisfacenti alle numerose famiglie dell’Africa in difficoltà, solo se inizierete a mettervi in ginocchio. E’ in un atteggiamento di preghiera che potrete mettervi in ascolto di Dio e delle chiamate che provengono da situazioni concrete che molte famiglie in Africa stanno vivendo. E’ in questa postura che sarete delle vere sentinelle, portatrici della Buona Novella della vita alle nostre famiglie.

Il secondo punto di riferimento per il futuro dell’Istituto in Africa è quello del metodo. La questione del metodo con cui si rapportano la teologia e le scienze umane e sociali resta fondamentale per la riscoperta della posta in gioco della predestinazione del soggetto africano.

La Lettera agli Efesini ci apre una via di uscita attraverso il tema della predestinazione. Nell’attuale contesto del mondo, la predestinazione sembra essere dimenticata. Dobbiamo riscoprire le sue vere coordinate. Da questo dipende l’attualità degli insegnamenti dell’Istituto sul Matrimonio e la famiglia in dialogo con il mondo del nostro tempo.

La lettera agli Efesini è inoltre uno dei testi fondanti del pensiero di san Giovanni Paolo II. Io vi propongo di prendevi il tempo necessario e di tornare con più libertà ed equilibrio a meditarla. San Giovanni Paolo II si è preso il tempo di ascoltarla e viverla.

Con lui rinnoviamo il nostro ascolto nella benedizione di Dio: “Benedetto sia Dio, padre del Signore nostro Gesù Cristo! Ci ha benedetto con le benedizioni dello Spirito in Cielo in Cristo. Ci ha scelti in Cristo prima della fondazione del mondo per essere santi, immacolati davanti a lui nell’amore. Ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi attraverso Gesù, il Cristo”.

Dobbiamo ancora andare alla fonte delle benedizioni nella grazia che ci ha dato nel figlio prediletto. “In lui, per mezzo del suo sangue, noi abbiamo la redenzione, il perdono dei nostri peccati. Questa è la ricchezza della grazia che Dio ha fatto traboccare in ogni saggezza e intelligenza. Ci rivela così il mistero della sua volontà, come la sua bontà l’aveva previsto in Cristo. Per portare i tempi alla loro pienezza, ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo e quelle della terra”.

Quando ascoltiamo davvero questo inno, sentiamo che il noi che stiamo dicendo non riguarda solamente il nostro piccolo gruppo di studenti, né soltanto i cristiani che ascoltano, ma tutti gli uomini. Gesù ha versato il suo sangue “per molti”.

La sfida di oggi è andare più a fondo della parola “destino”. Dio ci ha predestinati, cioè ha pensato a ogni essere umano fin da prima della nascita, lo ha amato e continuerà ad amarlo qualunque sia il suo peccato. Il suo desiderio è che noi tutti possiamo diventare figli dell’Unico Dio che ha vissuto pienamente questo amore: Costui è il mio figlio diletto: ascoltatelo.

La sentinella è colui che si è preso il tempo di ascoltare e che annuncia questa scoperta dell’amore indifettibile del Signore per la vita del mondo: Dio ha tanto amato il mondo da inviare il suo unico figlio. La sfida è annunciare questa novità radicale che trasfigura la condizione umana.

E’ la fonte del servizio da rendere alla nostra umanità in generale e alla condizione della famiglia in Africa in particolare. Ciò significa che il servizio che l’Istituto Giovanni Paolo II deve rendere all’umanità riguardo alla Buona Novella della salvezza, è di una importanza cruciale.

Il terzo punto di riferimento per la rilevanza degli insegnamenti del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia in Africa è la teologia concreta come responsabilità e servizio domestico. Questo è il servizio della pastorale pontificia. Il termine “pontificio” è essenziale: è la pastorale affidata alle buone cure dell’apostolo Pietro. Abbiamo appena ascoltato il fondamento di questo servizio radicato nell’amore:

“Simone, figlio di Giona, mi ami tu, davvero?”, “Pasci le mie pecorelle”, “Seguimi”.

Essere pastore, seguire Cristo, è un atteggiamento che riguarda l’identità umana e la responsabilità cristiana. Per comprendere questa attitudine nel pensiero di Giovanni Paolo II è necessario guardare alla sua formazione umana e accademica.

Nella sua testimonianza, intitolata Dono e mistero, afferma che la responsabilità comincia in famiglia: perché la famiglia è, in qualche modo, il primo luogo di formazione, una sorta di seminario domestico. Continua la sua testimonianza dicendo: “La preparazione al sacerdozio che ho seguito in seminario è stata in qualche modo preceduta da quella che mi aveva assicurato la vita e l’esempio in famiglia dei miei genitori”.

L’appello alla responsabilità rivolta a tutti i continenti riguarda anche i 55 paesi dell’Africa. Il profeta Isaia l’aveva già annunciato: tutti i paesi della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio. E’ davvero giunto il momento di dare a Cristo le nazioni come eredità.

Quale sarà il ruolo delle Nazioni Africane? Dopo 25 anni di presenza in Africa, il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul Matrimonio e la famiglia, ha la pesante responsabilità di ri-orientarci concretamente verso un futuro di giustizia e di pace. Il clima culturale contemporaneo ci invita a individuare tre ambiti in vista di una riscoperta più profonda della necessità di un lavoro teologico concreto.

Il primo ambito è quello del significato umano in Africa nel suo incontro con il mondo. E’ una sfida socio-antropologica fondamentale. Il recente colloquio organizzato dall’Istituto ci ha mostrato che c’è ancora lavoro da fare nei paesi africani per un’adeguata comprensione e interpretazione dell’uomo e della donna in ciò che è essenzialmente umano e africano, senza confusioni né giustapposizioni. Si tratta della sfida del rapporto tra solidarietà e personalità all’interno delle norme etiche e normative della famiglia africana.

Oggi, nel contesto di una postmodernità aggressiva, l’Istituto si trova ad affrontare la sfida del rendere conto di un’antropologia concreta della condizione familiare, che miri ad una vera liberazione dell’uomo africano nel suo incontro con Cristo.

Il secondo ambito è quello della sacramentalità del matrimonio in Africa. E’ la sfida di un’esigenza teologica radicata nella novità cristiana dell’incontro con i popoli africani.

Oggi nel contesto di un incontro tra la fede e le culture, visto e celebrato in termini di dialogo, il Pontificio Istituto per il Matrimonio e la famiglia è messo di fronte alla sfida di rendere conto, nella maniera adeguata, dei rapporti tra matrimonio e verginità, tra la Chiesa e la Trinità, la genitorialità, la filiazione e la fraternità. La sfida resta quella di uno studio approfondito della condizione familiare in Africa per trovare il giusto equilibrio tra la trasmissione dell’eredità umana, cristiana e africana in prospettive nuove e universali.

La terza area è quella del rapporto tra famiglia, educazione e sviluppo armonico e integrale. Questa sfida è esattamente quella del servizio africano dell’Istituto per il Matrimonio e la Famiglia: un servizio da rendere alla politica, all’economia, all’ambiente, alle scienze umane e sociali, ai genitori e agli educatori, alla salute, al diritto e alla giustizia.

La pedagogia delle coscienze e la formazione degli atteggiamenti è una sfida importante per la famiglia, definita come uno dei pilastri più preziosi dell’umanità.

In realtà, la fonte della crisi, è la dimenticanza del principio della creazione dell’uomo come maschio e femmina.

Di fronte alle attuali sfide legate al progresso scientifico, che non risparmia il continente africano, di fronte alle ricorrenti situazioni di malattia, sottosviluppo e nuove forme di schiavitù, di fronte alle nuove minacce contro la vita, il Pontificio Istituto per il Matrimonio e la Famiglia è sfidato a formare dei profeti di speranza, non solamente per l’Africa ma per l’umanità intera.

L’Istituto è fortemente atteso in Africa come un aiuto ai nonni, un servizio ai genitori, ai giovani, alle famiglie, alle persone che si trovano in una situazione di crisi professionale e all’umanità concreta delle famiglie in Africa.

Possa la grazia di questo Giubileo aiutare gli uni egli altri a “prendersi cura della famiglia senza ideologie”, secondo la bella espressione di papa Francesco del 24 ottobre 2022, durante l’udienza concessa alla Comunità Accademica del Pontificio Istituto a Roma. Perché “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia”. Che il Signore ci conceda la grazia di farlo: lui che vive adesso e nei secoli dei secoli. Amen.

FRANCAIS