L’Istituto Jp2 in pellegrinaggio ad Aversa
Un incontro con una terra piena di storia, di coraggio e di spiritualità. Un confronto con una realtà pastorale ma anche con una comunità che lotta per la giustizia.
Sabato 9 novembre la comunità accademica è stata in pellegrinaggio nella Diocesi di Aversa. Una giornata intensa iniziata con la messa nel Seminario e l’incontro con il vescovo Angelo Spinillo e i responsabili della pastorale per la famiglia, il pranzo in un ristorante nato in una villa confiscata alla camorra e la visita nella chiesa dove è stato ucciso don Peppe Diana nel 1994.
La giornata si è dunque aperta con la visita al seminario e l’incontro con Lello e Maria, i responsabili della pastorale familiare della Diocesi di Aversa, che hanno raccontato a studenti, docenti e personale del Jp2 le innovative pratiche di pastorale familiare attuate.
Tra queste i percorsi di accompagnamento delle coppie dopo il matrimonio: “La maggior parte delle persone si sposa ancora in Chiesa, ma a stento arriva alla prima comunione dei figli. Sono proprio le coppie stesse a chiedere un accompagnamento alle parrocchie, che di fatto rappresentano l’unico punto di riferimento sul territorio”.
L’ufficio per la pastorale familiare della Diocesi di Aversa, spiegano Lello e Maria, sta avviando anche dei percorsi per le famiglie in crisi o ferite.
Dopo la solenne celebrazione presieduta dal Vescovo, il gruppo si è spostato a Casal di Principe, diventato negli anni un luogo simbolo di degrado e malavita e che ora sta acquistando speranza e una nuova identità grazie all’impegno di tante associazioni.
Il pranzo si è svolto nel ristorante “NCC – Nuova Cucina Organizzata”. Una sigla che richiama espressamente la più celebre associazione camorristica – La Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.
Il ristorante è infatti sorto su una villa confiscata a un camorrista. “Non è stato facile mettere in piedi questo progetto – hanno spiegato i volontari – ma ci siamo riusciti, e ora ci lavorano persone con disabilità psichica”.
Anche il presidente Sergio Mattarella ha pranzato al “NCC” il cui motto – presente nelle magliette di tutti i volontari – è “Da vicino nessuno è normale”.
La giornata si è conclusa, nel pomeriggio, nella chiesa di San Nicola di Bari, la parrocchia don Peppe Diana: il prete ucciso dalla camorra che ha dato inizio a un riscatto di queste terre facendo rinascere una speranza in questo territorio.
Se trent’anni fa la camorra regnava incontrastata sulla cittadina, oggi vive qui una comunità molto vivace e determinata a combattere la malavita e a dare ai giovani un futuro di speranza.
““Il primo sacramento amministrato da don Peppe era l’amicizia” ha spiegato don Franco Picone, successore di don Peppe. “Don Peppe invitava a giocare in parrocchia anche i figli dei camorristi. Per questo dava così fastidio” spiega don Franco, che è arrivato a San Nicola all’indomani del suo omicidio e da trent’anni è parroco.
“Oggi le cose sono cambiate: le nuove generazioni sono meno attratte dalla camorra, ma non trovano opportunità e quindi son costrette a lasciare la loro terra e a emigrare”.
La fase repressiva, paradossalmente, è quella più facile: “È molto più difficile quella costruttiva. La camorra può essere sconfitta. Falcone diceva sempre che la mafia è un fenomeno storico che ha avuto un inizio e che avrà una fine”.
Non c’è un museo, a San Nicola di Bari. Anche se la Sacrestia dove don Peppe è stato ucciso da un sicario mentre si preparava a celebrare la messa, oggi ci sono molte foto e ritagli di giornale che raccontano la sua storia e il suo impegno contro la camorra.
E’ significativo però che – per iniziativa di don Franco – il crocifisso che pendeva sopra l’altare è stato sostituito da un Cristo collocato sull’albero della vita, a rappresentare il rifiorire di speranza generato dal martirio di Diana. “Don Peppe ha dato vita ad una nuova pastorale, che ci fa tendere verso l’alto”.
Trent’anni fa la camorra dominava incontrastata Casal di Principe: “C’era un’alleanza tra malavita, magistrati, polizia, imprenditori. Tutti mangiavano bene e dominavano sull’intero sud. Il clan dei Casalesi e quello degli Schiavoni erano tra i più forti e i sanguinari d’Italia”.
Quando viene ucciso Diana, in realtà, l’omicidio di un prete è ancora un tabù per la mafia. “C’era una sorta di etica camorristica, che prevedeva che non si uccidessero bambini, donne e preti. Il colletto poteva quindi essere visto quasi come uno scudo”.
Un anno prima, però, a Palermo era stato ucciso don Pino Puglisi. “Don Peppe, però, non si è fermato, e ha continuato con la sua opera, fatta sia di pastorale, ma anche di denunce, articoli di giornale e manifestazioni pubbliche. Non certo per diventare un personaggio, ma per aprire un dialogo con l’opinione pubblica. Fino a quel momento nessuno si era pronunciato su questi argomenti. La paura aveva sempre avuto la meglio”.
Don Peppe Diana non aveva modelli, ma due punti di riferimento in Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta e Agostino Riboldi, vescovo di Acerra – entrambi impegnati nella lotta contro la camorra, anche all’interno della “fabbrica della rassegnazione, quando anche i cattolici pensavano che il compito della Chiesa fosse quello di educare le coscienze e non anche insegnare ad essere cittadini onesti”.
Con la forania di Casal di Principe la messa della Notte di Natale del 1991 mette in discussione molte certezza con la prima grande presa di posizione della Chiesa contro la camorra.
È il 19 marzo 1994 quando il killer entra nella sacrestia di San Nicola e spara quattro colpi di pistola contro don Peppe.
“L’obiettivo di un gesto così eclatante, oltre a far tacere il prete, era quello di far ricadere la colpa sul clan rivale”.
L’omicidio viene eseguito a volto scoperto e di fronte a molti testimoni, confidando nell’omertà. In effetti solo due dei presenti testimonieranno al processo, e uno dei due finirà per ritrattare. È solo grazie alla testimonianza dell’amico che era a fianco a don Peppe al momento della morte, che l’assassino verrà arrestato e condannato.
Oggi sul luogo del martirio c’è una grande foto alla quale l’intera comunità del Jp2 si è voluta accostare prima di riprendere la strada verso casa, con il calore di incontri importanti e una nuova consapevolezza del proprio essere cristiani.
(Arnaldo Casali)