“Famiglie in Indonesia, ponte tra fedi alla ricerca della pace”

di Arnaldo Casali

Un arcipelago di popoli e religioni, lingue e tradizioni, ricchezze e contraddizioni: è l’Indonesia, dove una popolazione di 275 milioni di persone parla 700 diversi dialetti e vive su 17mila isole. Ognuna con la sua fede, i suoi problemi e le sue emergenze.

E’ da qui che arriva suor Matilda Sofiati Biabi, originaria dell’isola di Timor, da ventidue anni religiosa delle Figlie della Regina del Rosario, da dodici in Italia e da un anno studentessa del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II.

“La nostra congregazione è nata proprio in Indonesia, nel 1958, ed è presente in Italia, Belgio, Canada, Kenya ed Etiopia. Lavoriamo come infermiere negli ospedali dei lebbrosi, perché la lebbra in Indonesia è ancora un problema. Ma ci occupiamo anche di educazione, carità, case per disabili, pastorale giovanile e familiare”.

Come sei arrivata in Italia?

“La Congregazione mi ha mandato a studiare liturgia all’Angelicum. Ma durante la preparazione per il baccalaureato ho iniziato ad interessarmi di famiglia. Ho fatto una tesi sulla Familiaris Consortio e mi ha colpito una frase: ‘Come sarà la società e la Chiesa dipende dalla famiglia’. Così la Madre generale mi ha invitato a studiare al Jp2”.

Quale è la situazione della famiglia in Indonesia?

“Nella mia isola stiamo assistendo a grandi cambiamenti: vent’anni fa da noi non c’era la televisione: passavamo le serate ad osservare la Luna, ad ascoltare mio padre che ci raccontava le fiabe e le parabole sulle virtù e ci insegnava a suonare le canzoni con la chitarra. In famiglia si pregava insieme, mentre oggi l’individualismo la fa da padrone. A quattro anni i bambini hanno già il cellulare, si pranza con il telefono in mano”.

L’Indonesia è un paese multiculturale e multi-religioso.

“Abbiamo musulmani, protestanti, cattolici, induisti, buddisti e confuciani. Ci sono isole a maggioranza islamica e isole a maggioranza cattolica. Timor ha una maggioranza cattolica, ma all’interno della mia famiglia ci sono anche protestanti e musulmani”.

C’è conflitto tra le religioni?

“No, viviamo nella pace: abbiamo una grande tolleranza gli uni verso gli altri e il dialogo interreligioso è molto presente, anche in famiglia, perché all’interno della stessa comunità ci sono protestanti, musulmani e induisti. Alcune mie consorelle hanno fratelli che si sono convertiti all’islam. In generale ci sono ottimi rapporti nelle isole a maggioranza protestante o cattolica, mentre c’è qualche tensione in quelle islamiche, a causa di fazioni radicali che vorrebbero seguire l’esempio dell’Afghanistan”.

Quale è la posizione del governo?

“Il presidente è un musulmano moderato e abbiamo anche un ministro della religione. Tutte le confessioni hanno pieni diritti e il governo lotta contro i gruppi dei fondamentalisti”

Quando sei arrivata al Jp2?

“L’anno scorso, per la licenza, e ho trovato un ambiente molto accogliente. C’è la voglia di fare ricerca, di formarci attraverso lo studio. Mi trovo benissimo: è una vera, grande famiglia che vive insieme, cresce insieme, cammina insieme. Per me il Jp2 è davvero una seconda casa: tra studenti ci si sente fratelli, e i professori sono disponibili e pazienti come dei padri. Si vive un’esperienza di autentica fraternità: siamo una famiglia viva”.

Una famiglia internazionale.

“Veniamo da tutto il mondo e solo una piccola parte degli studenti è italiana, cosa che ci aiuta a non sentirci stranieri. Anche il preside ha dovuto imparare l’italiano, come tutti noi, e questo ci fa sentire a nostro agio nonostante le incertezze con la lingua. Viviamo un’esperienza di grande ricchezza, gioia, condivisione e reciproco aiuto. Ed è bello entrare attraverso questa porta nella cultura europea e portarla nel mio paese”.

C’è grande differenza tra la cultura europea e quella indonesiana?

“Sì, qui il giudizio sociale è molto diverso. Ognuno può fare quello che vuole, invece da noi – ad esempio – non ci si può baciare in pubblico, l’omosessualità è proibita e non se ne può nemmeno parlare. I gay in Indonesia vivono in una condizione di grande discriminazione ed emarginazione, e vanno in Germania per sposarsi. Sull’altro versante, però, dobbiamo dire che la famiglia – da noi – mantiene un valore che in Europa si è perso: i figli sono considerati una ricchezza: ogni famiglia ne ha più di cinque, perché sono vissuti come un dono di Dio e non come un problema”.

Anche la religiosità è sentita in modo più forte?

“Sì, decisamente sì. Anche se devo dire che nelle famiglie musulmane è più forte che in quelle cristiane”.

Quale è la principale emergenza in Indonesia?

“Ogni isola ha un problema diverso. Nella mia, ad esempio, c’è quello dell’emigrazione: tanti vanno in Malesia a cercare lavoro. Abbiamo bisogno di una speranza per le famiglie e di opportunità di futuro per i giovani”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Avvenire di domenica 25 giugno 2023
scarica la pagina in pdf