Pelletier: “Tempi maturi per rivedere il ruolo della donna nella Chiesa”
di Arnaldo Casali
“Considerando che il celibato dei preti ha meno di mille anni, chissà quale sarà anche solo fra cinquanta il ruolo della donna nella Chiesa”.
La parola “ordinazione” non viene mai pronunciata, nel corso della presentazione del libro La Chiesa e il femminile di Anne-Marie Pelletier, che segna l’avvio della collaborazione tra il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II e la casa editrice Studium, ma è evidente come i tempi siano ormai maturi per un ripensamento radicale del ruolo della donna nella Chiesa. E non certo per adeguarsi ai cambiamenti sociali, ma perché proprio l’adeguamento al contesto sociale ha portato il cristianesimo a discriminare per secoli metà dell’umanità, “arenando la novità evangelica sulla spiaggia del patriarcato”.
“Il problema non sono certo le Scritture – spiega la teologa Simona Segoloni Ruta – ma le categorie antropologiche in cui sono state imbrigliate; un po’ come se volessimo parlare della Creazione senza tenere conto delle conoscenze scientifiche”.
L’arcivescovo Vincenzo Paglia cita Giovanni XXIII – “Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che lo capiamo meglio” – e sottolinea come papa Francesco abbia già chiamato figure femminili in ruoli apicali in Vaticano e affidato alla stessa Pelletier le meditazioni della via Crucis. Il preside Philippe Bordeyne, da parte sua, cita le nuove insegnanti assunte dall’Istituto e la volontà di creare un confronto schietto su queste tematiche.
Se il principale ostacolo all’emancipazione della donna nella Chiesa è l’interpretazione della tradizione, la teologa francese spiega che la tradizione non è “una serie di sentenze scritte nel marmo, ma un’energia che si muove”. E invita ad osare: “Fino ad oggi non abbiamo reso molto onore alla verità del Vangelo, ma non è mai troppo tardi”.
“Sicuramente oggi le donne entrano in luoghi che prima erano inaccessibili ma il punto è che possano accedere a tutto l’esercizio dell’autorità nella Chiesa e se smettiamo di ragionare in termini di istituzione non paritaria tra clero e laici, ci troviamo davanti a un’identità battesimale condivisa, e questa identità non deve essere professata in modo astratto ma va incarnata e istituzionalizzata”.
Segoloni ricorda come la consacrazione, in passato, sia stata una grande via di emancipazione femminile perché permetteva di sfuggire al controllo degli uomini, ma ha finito per chiudere il femminile in un’identità. “La verginità consacrata è stata spesso associata a una diffidenza verso la sessualità, sminuendo il matrimonio” replica Pelletier: “Oggi è tempo di presentarla diversamente non come integrità fisica ma come consacrazione integrale a Dio”.
“Si è spesso sostenuto che la donna sia debole, pericolosa ed emotiva” prosegue la teologa. “Oggi invece si tende a farci grandi lodi – anche troppe a mio avviso – ma si parla sempre dello ‘specifico’ della donna e invece bisognerebbe parlare di quello che c’è in comune tra uomini e donne: dobbiamo partire dall’uguaglianza per parlare della differenza”.
“Ripensare il ruolo della donna nella Chiesa – conclude – significa ripensare il ruolo di tutti. Noi non vogliamo una fetta della torta: vogliamo cambiare torta”.