Il matrimonio ebraico, quante sorprese

di Arnaldo Casali

“Reggere il moccolo”. Chi avrebbe mai immaginato che dietro quest’espressione popolare si nascondesse uno dei più antichi riti del matrimonio, che vede il parente uomo più prossimo allo sposo tenere un cero durante la cerimonia?

A rivelarlo è Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma, nel corso dell’incontro organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II in occasione della pubblicazione online della mostra realizzata dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara.

A presentare la mostra, insieme al direttore del museo Amedeo Spagnoletto e la curatrice Sharon Reichel, anche il Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni, il Gran Cancelliere dell’Istituto Jp2 Vincenzo Paglia, il preside Philippe Bordeyne, il vescovo di Frosinone Ambrogio Spreafico, la vicepreside del Jp2 e Coordinatrice Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo Milena Santerini e l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Raphael Schultz.

“Nel Talmud – racconta Dureghello – una matrona romana chiede a un maestro: ‘Ma il vostro Dio di che si occupa?’, ‘ha creato il mondo in sei giorni, e il settimo si è riposato’. ‘e adesso che fa?’, ‘trova un compagno alle persone, che è la cosa più difficile: più complessa dell’apertura del Mar Rosso!’”.

“Questo incontro rappresenta un importante momento di amicizia tra persone di fede ebraica e cristiana – commenta Santerini – perché siamo conviti che è così che si costruiscono il dialogo e la pace”. “Abbiamo voluto offrire il nostro contributo di riflessione – aggiunge il preside Bordeyne – alla scoperta della ricchezza spirituale e culturale del mondo ebraico, esplorando un aspetto che riguarda proprio la missione affidataci da papa Francesco”.

“Nella tradizione ebraica – riprende Dureghello – il matrimonio è un’unione tra due coniugi attraverso un contratto santificato da alcune benedizioni: non è però è un sacramento e si può sciogliere di fronte al tribunale rabbinico, con delle procedure estremamente chiare da più di cinquemila anni”.

“Il matrimonio è un pilastro per la struttura della comunità ebraica – commenta Di Segni – perché la famiglia rappresenta il nucleo essenziale di trasmissione dell’ebraismo e la prima scuola di formazione”. Il rabbino capo di Roma commenta anche la sentenza della Corte costituzionale che consente di trasmettere il cognome della madre: “Non c’è da stupirsi, se non per il ritardo con cui questa norma è arrivata rispetto al concetto di parità tra uomo e donna presente nella Costituzione”.

Allestita lo scorso autunno, la mostra Mazal Tov! offre un vero e proprio viaggio all’interno del matrimonio ebraico attraverso la storia dei suoi affascinanti riti sospesi tra passato e presente: navigando nel portale mazaltov.meis.museum si possono approfondire i diversi aspetti come la Ketubbah, il contratto di nozze che tutela la sposa o la simbolica rottura del bicchiere), vedere filmati inediti e immagini di matrimoni dalla fine dell’800 ad oggi. Il video dell’incontro di venerdì è invece disponibile sul profilo youtube del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II Matrimonio e Famiglia.

(da Avvenire del 1 maggio 2022)