Tra teologia e pastorale un fossato da superare
di Luciano Moia
«Le grandi sfide circa il matrimonio e la famiglia ci interpellano in maniera diretta. E sono molteplici. Penso ad esempio alle implicazioni ecclesiologiche di Amoris Laetitia che vanno esplicitate e sviluppate. Quando la Chiesa parla della famiglia deve parlare anzitutto di se stessa, pena l’irrilevanza». È un passaggio dell’introduzione che l’arcivescovo Vincenzo Paglia, gran cancelliere del Pontificio Istituto teologico ‘Giovanni Paolo’ ha svolto in apertura del convegno dedicato al concetto di Tradizione, terza giornata di studio nell’anno Amoris Laetitia, organizzata dallo stesso Istituto Giovanni Paolo II in collaborazione con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e la Diocesi di Roma, nel quinto anniversario della pubblicazione dell’esortazione apostolica. La breve analisi di Paglia è stata, a tratti, impietosa: «Il ritardo della riflessione teologica e della prassi pastorale è pesante. Penso alla debolezza di una ‘teologia della famiglia’ pensata magari come una semplice appendice della ben più sviluppata teologia del matrimonio. Dovrebbe far riflettere ad esempio che il termine ‘famiglia’ sia praticamente assente nel Codice di Diritto Canonico. E come non pensare inoltre all’urgente superamento del fossato tra teologia e pastorale, che nella frontiera che ci riguarda suona particolarmente problematico?».
Perché parlare di tradizione allora? L’ha spiegato Giovanni Cesare Pagazzi, direttore scientifico del convegno: «I primi cinque anni di Amoris Laetitia hanno portato a temperatura ‘critica’ l’idea di Tradizione. Abbiamo invece spiegato che alla Tradizione si può arrivare non partendo direttamente dalla discussione del vocabolo, che rischia di essere polarizzato dal dibattito teologico; la strategia è quella di accostarla dalla prospettiva di due gesti umani con un forte approccio pastorale: l’esperienza dell’eredità e la tensione polare tra memoria e dimenticanza». Dopo l’intervento della biblista Donatella Scaiola (Pontificia Università Urbaniana) che ha approfondito il ‘processo di riscrittura e rilettura nella e della Bibbia’, il teologo Leonardo Paris ha messo a fuoco il processo ereditario per il cristiano che, a suo parere, va letto nella categoria della figliolanza. E questa eredità va accolta, a partire da quella di Cristo che dà senso e spiega l’eredità nello scorrere della tradizione. Su ‘Memoria e dimenticanza: polarità necessaria tra le generazioni, nella famiglia e nella società’ la riflessione di Raffaella Iafrate della Cattolica di Milano. Tra gli altri interventi quelli di Andrea Dall’Asta, direttore Galleria San Fedele di Milano, Stephan Kampowski del ‘Giovanni Paolo II’ e Pierpaolo Triani della Cattolica di Milano. Pubblichiamo qui sopra ampi stralci dell’intervento di Philippe Bordeyne, preside del ‘Giovanni Paolo II’ su ‘Quali forme di tradizione, trasmissione ed eredità?’ Nelle conclusioni Pierangelo Sequeri, direttore Cattedra Gaudium et spes, già preside del ‘Giovanni Paolo II’, ha messo in luce la difficoltà dei processi dell’età di mezzo (famiglia, fede, lavoro) di cui la pastorale non può non tenere conto, con alcune indicazioni propositive per rilanciare la riflessione alla luce di Amoris laetitia
(da Avvenire di domenica 10 aprile)