Educare vuol dire aprire spazi di libertà

di Philippe Bordeyne

«Fare in modo che i giovani imparino a realizzare il bene che hanno scelto». Così Francesco in ‘Amoris laetitia’ spiega la trasmissione delle virtù Agli occhi di papa Francesco, l’unico modo efficace per educare e trasmettere è rinunciare al potere di dominio degli adulti sui giovani. Per sostenere questa comprensione originale della pratica educativa all’interno delle famiglie, il Santo Padre usa un aforisma che ricorre in diversi suoi scritti: ‘il tempo è superiore allo spazio’ (…).
Nel numero 3 di Amoris laetitia, il Papa mette di nuovo in gioco questo principio in un contesto di trasmissione, questa volta riguardante il ruolo del magistero come custode ‘dell’unità di dottrina e prassi’. Questo ruolo, sottolinea Francesco, non deve essere inteso come il potere di risolvere ‘tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali ‘. In questa prospettiva, spiega che è legittimo ammettere una pluralità di ‘modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano’ (AL 3).
Tuttavia, è nel capitolo 7 diAmoris laetitia, che è più evidente la funzione critica che il Papa dà al principio ‘il tempo è superiore allo spazio’ all’interno delle pratiche sociali di trasmissione. Francesco si riferisce alle pratiche dell’educazione così come si svolgono in famiglia, ma la portata di questo capitolo è molto più ampia, come dimostra l’uso di un lessico che ha già utilizzato in precedenza: lo spazio è associato al potere di ‘dominare’ o ‘fossilizzare’; il tempo è associato ai ‘processi’ di ‘crescita’, al lungo periodo, alla speranza. ‘Si tratta di generare processi più che dominare spazi’, dice Francesco in AL 261. Secondo lui, l’educazione morale consiste nel ‘rafforzare’ e ‘preparare ad affrontare le sfide’, perché si tratta di educare persone che non possono essere ridotte a ‘modelli’ preconfezionati. Dal punto di vista del loro compito educativo, i genitori sono chiamati ad esercitare ‘la prudenza, il buon giudizio e il buon senso’ e ad abbandonare i criteri ‘puramente quantitativi’ che non riuscirebbero a raggiungere il mistero della ‘crescita’ di una persona umana (AL 262). Da parte del figlio stesso, ciò a cui dovrebbero mirare gli educatori non è tanto la trasmissione di regole o di valori quanto la formazione della libertà, in modo che i giovani imparino a condurre la loro vita realizzando un bene che hanno desiderato e scelto. Da quel momento in poi, spetta agli adulti avviare un processo di apprendimento (…).
Il resto del capitolo 7 stabilisce le linee guida per la trasmissione in modo che possa veramente servire ad una vita morale soddisfacente: – un’educazione della ‘volontà’ che favorisca ‘lo sviluppo delle tendenze affettive a favore del bene’ (AL 264) in un’atmosfera di ‘affetto e testimonianza’ capace di ‘generare fiducia nei figli, ispirare in essi un amorevole rispetto’ (AL 263); – ‘dialogo educativo’ che permette ai figli ‘scoprire da sé l’importanza di determinati valori’ invece di farseli imporre con la forza (LA 264); – iniziazione all’amore del bene come una ‘profonda inclinazione affettiva’ senza la quale ‘giudicare bene’ non porta a nulla (AL 265); – il ‘maturare delle abitudini’ attraverso la ‘ripetizione cosciente, libera e apprezzata di certi comportamenti buoni’ (AL 266); – la formazione delle virtù (AL 267).
Il punto importante qui è che la trasmissione si sposta dai contenuti da trasmettere ai protagonisti della relazione educativa, il giovane e l’adulto, e alla qualità della relazione educativa. Per questo Francesco insiste sul fatto che l’adulto è prima di tutto una persona amorevole, che evita di mettersi in una posizione di sopraffazione. Egli testimonia con il suo modo di essere che il bene merita di essere amato e che il lavoro sulle passioni non è mai finito. Adulti e giovani diventano così partner in un processo reciproco di maturazione della libertà che continua per tutta la vita con l’aiuto della grazia di Dio, e che fa della famiglia una ‘scuola di arricchimento umano’ ( Gaudium et Spes 52). L’educazione in questa prospettiva è una pratica familiare che si rivela formativa per i genitori stessi. Perché forma gli adulti, come i loro figli, nelle virtù. Ricordiamo che le virtù sono capacità di fare il bene più facilmente, e che si acquisiscono attraverso la pratica del bene. Possiamo citare molti esempi di virtù che si acquisiscono attraverso pratiche educative concrete: spesso è assumendo il proprio dovere di iniziare i figli alla preghiera che i genitori ne reimparano la semplicità e la regolarità, nell’umiltà della preghiera familiare dove adulti e figli si inginocchiano insieme. O i genitori reimparano la magnanimità quando accolgono un figlio che chiede perdono dopo un errore o un momento di rabbia, e il loro cuore adulto si spezza e si apre alla misericordia. O ancora, i genitori reimparano il coraggio quando il loro figlio, affetto da un handicap o da una difficoltà particolare, mostra tenacia nel superare questa prova. Aggiungiamo che i genitori reimparano anche la pazienza dai propri genitori che, nella loro condizione di nonni, mostrano tesori di comprensione che a volte mancano ai genitori (…). Di fatto, ciò che accade nella famiglia quando i genitori cercano consapevolmente di avviare i loro figli nel miglior modo possibile all’uso della libertà non è diverso da ciò che accade nelle comunità cristiane quando accolgono i giovani che vogliono prepararsi al matrimonio, o quando sostengono le famiglie nella loro vita quotidiana (capitolo 6), o quando si sforzano di integrare meglio le persone in ‘situazioni complesse’ e ‘fragilità’ (capitolo 8). È proprio in questo senso che le pratiche educative delle famiglie possono servire da modello ispiratore per la Chiesa, perché l’evangelizzazione presuppone il rispetto incondizionato delle persone a cui ci rivolgiamo. Perché l’accompagnamento sia benefico, Amoris laetitia suggerisce in ogni modo che la domanda centrale da porre è esattamente quella che si addice agli adulti in situazioni di responsabilità educativa: dove si trovano queste persone ‘in senso esistenziale’, ‘dove sono realmente nel loro cammino?’ (cfr. AL 261). Questa domanda non può mai essere ridotta a una domanda di posizionamento statico nello spazio, che ‘cristallizzerebbe’ le persone (cfr. LF 57). Al contrario, si tratta di cercare di identificare la loro traiettoria per abbracciare il movimento in corso e moltiplicare il suo potenziale di crescita (…)