Amoris Laetitia: questioni teoriche e prospettive pastorali

di Maurizio Chiodi

Qual è il bilancio a cinque anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia?

A questa domanda si potrebbe rispondere tenendo presente l’ampio orizzonte di prospettive pastorali dischiuse dal documento: la spiritualità coniugale, nel cap. IV e IX, i compiti educativi, nei cap. III e V, le pratiche pastorali complessive riguardanti la famiglia, nel cap. VI. In tale orizzonte si dovrebbe ricordare che AL è stata il momento culminante di un “processo” che ha coinvolto e continuerà a coinvolgere in futuro tutta la Chiesa: in generale, «si tratta di generare processi più che dominare spazi» (n. 261), favorendo così un “modello di Chiesa” sinodale: una comunità credente, che è convocata a rispondere al dono di Dio e nella quale ciascuno si mette in cammino, insieme con gli altri. Perciò la pastorale familiare può concorre a un rinnovamento di tutte le prassi pastorali.

Non intendiamo qui affrontare le innumerevoli questioni teoriche suscitate da AL e concernenti sia le profonde trasformazioni sociali e culturali che, in occidente, hanno toccato la famiglia, sia la teologia sacramentale, il diritto canonico, la teologia morale, la teologia spirituale. Più modestamente intendiamo soffermarci sul cap. VIII, quello che ha fatto maggiormente discutere, sotto un duplice punto di vista. Francesco parla qui di due fenomeni diffusi nella Chiesa cattolica, soprattutto in occidente e anche in Italia: i cristiani che, invece di sposarsi, scelgono di convivere e i cosiddetti “divorziati risposati”.

Sul secondo fenomeno AL si diffonde più lungamente, mentre sul primo offre una breve analisi e alcune indicazioni pastorali. Su questo primo tema, le convivenze (n. 293-294), va notato che sui tratta di un fenomeno tanto frequente quanto diversificato. La maggior parte, e a volte la totalità delle coppie che frequentano i corsi di preparazione al sacramento, è già convivente, a volte con figli. Tutto ciò richiede la saggezza pastorale di discernere le situazioni, evitando giudizi duri e squalificanti a priori: situazioni diverse vanno giudicate diversamente. Il primo compito dei pastori è di «valorizzare gli elementi costruttivi» (AL 292) che possono essere presenti in certe convivenze. L’obiettivo finale, certo, è di aiutare “gradualmente” queste persone ad aprirsi al «Vangelo del matrimonio nella sua pienezza» (AL 293). In attesa di ciò, citando la Relatio Synodi del 2014, Francesco chiede di affrontare le situazioni «in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino» (AL 294). La grande sfida, per le nostre comunità, è di fare diventare la difficoltà una chance pastorale. Per le coppie di conviventi che ancora chiedono di celebrare il matrimonio, a volte con motivazioni non molto profonde, la preparazione al sacramento, invece che un noioso pedaggio da pagare, dovrebbe diventare un’occasione creativa per favorire una nuova appartenenza e una maggiore partecipazione alla comunità, in particolare all’Eucarestia.

Sull’altro fenomeno, i divorziati risposati, sono sorte le discussioni più accese. Proponendo una rassegna delle posizioni, possiamo distinguere tre modelli ben differenti. Ci sono, anzitutto, teologi che hanno difeso una “ermeneutica continuista”, sostenendo che AL non propone alcuna “svolta epocale”. Anche laddove, eventualmente, sembrerebbe prospettare aperture o novità, essa dev’essere interpretata alla luce del precedente magistero. Una seconda posizione è quella – che potremmo chiamare di un’ermeneutica discontinuista contestatrice – dei teologi che, in misura più o meno accentuata, hanno accusato il papa di voler cambiare la “dottrina cattolica” oppure lo hanno addirittura additato a “eretico”. Seppure sotto forma d’interrogativo, questa è in fondo la tesi di quattro cardinali, Burke, Caffarra, Brandmüller e Meisner, autori di una famosa lettera nella quale venivano posti cinque Dubia. Molti sostenitori di questa posizione hanno stigmatizzato il silenzio di Francesco. Si potrebbe, a nostra volta, affermare che non è immediatamente e necessariamente compito del papa rispondere pubblicamente. Sembra, invece, molto più ragionevole pensare che sia compito della teologia continuare ad approfondire criticamente le questioni teoriche sottese ai cinque Dubia dei quattro cardinali.

Una terza posizione afferma non solo che davvero con AL qualcosa è cambiato ma accoglie anche con favore tali cambiamenti. Una gran parte di teologi, nel mondo, anche se con riflessioni e differenti modelli teorici, sostiene questa interpretazione. A tale livello il dibattito è estremamente interessante: a partire da una questione molto concreta, esso impegna la teologia a ripensare i nodi teorici, antropologici, etici e teologici, che vi sono effettivamente implicati.

È infine interessante notare che le diverse posizioni teologiche sono presenti anche nelle pratiche pastorali. Così, ci sono comunità, parroci, vescovi, conferenze episcopali regionali o nazionali che, di fronte all’imbarazzo di un possibile cambiamento, lo ridimensionano o lo sottovalutano, continuando ad escludere i divorziati risposati dalla possibilità di un discernimento che, all’interno di un cammino di accompagnamento e integrazione – le tre grandi parole del cap. VIII – potrebbe condurre al perdono sacramentale e alla piena partecipazione alla mensa eucaristica.

Più sottotraccia, ma non del tutto assente, in campo pastorale, è la seconda posizione, apertamente contestatrice. Infine, un certo numero di diocesi, comunità e pastori stanno mettendo in atto prassi pastorali di accompagnamento, integrazione e discernimento. È difficile dire con certezza in che misura si stia imponendo questa prospettiva, anche se l’impressione è che ci sia ancora una certa resistenza, per cui il rinnovamento si diffonde (solo) “a macchia di leopardo”. La sfida, per le nostre chiese, è di camminare nella logica pastorale di AL che tanto raccomanda il discernimento del “bene possibile”.