Tradizione, l’eredità che promuove

di Rosario Campomasi 

La “tradizione”, una categoria teologica che «viene intesa all’interno di quella energia di crescita che si sprigiona nella dimensione dell’eredità ricevuta e da trasmettere» in una sorta di processo generativo a cui la Chiesa non può sottrarsi, mirabilmente individuato da Papa Francesco nell’Amoris laetitia e nel motu proprio Summa familiae cura, a essa strettamente legato.

È andato subito al tema dell’evento il presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, arcivescovo Vincenzo Paglia, nella sua introduzione alla terza giornata di studio sul tema Tradizione: l’eredità che promuove , organizzata per l’anno «Famiglia Amoris laetitia» dallo stesso istituto pontificio in collaborazione con il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e la diocesi di Roma nel quinto anniversario della pubblicazione dell’esortazione apostolica.

Il convegno, svoltosi il 5 aprile all’auditorium “Carlo Caffarra”, segue quelli dedicati al tema del comune e del discernimento. «Papa Francesco – ha sottolineato monsignor Paglia – ha raccolto l’eredità che Giovanni Paolo II aveva sapientemente e audacemente consegnato alla Chiesa e ne ha avviato una nuova stagione» mettendo la famiglia al centro di “percorsi di conversione pastorale” riguardanti le comunità e di trasformazione missionaria della Chiesa. Percorsi che sono anche sfide che «ci interpellano in maniera diretta», ha aggiunto.

«Penso a esempio alle implicazioni ecclesiologiche di Amoris laetitia che vanno esplicitate e sviluppate: il testo papale chiede una nuova forma ecclesiae, quella di essere familia Dei. È a dire che quando la Chiesa parla della famiglia deve parlare anzitutto di se stessa, pena l’irrilevanza».

Famiglia allora come risorsa per la società, opportunità e vero e proprio soggetto attivo della pastorale da cui partire per delineare un nuovo modo di fare Chiesa e di pensare le relazioni tra i fedeli, i ministri della Chiesa e gli operatori pastorali laici. Ed è partito da una citazione dell’Amoris laetitia l’intervento di Philippe Bordeyne, preside del Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II, che ha ribadito come il concetto di “tradizione” elaborato sulla scia dell’esortazione apostolica possa porsi come valido modello ecclesiologico. L’importanza dell’educazione dei figli, la “tradizione familiare” descritta nel capitolo 7 dell’Amoris laetitia è indicativa, secondo Bordeyne, di come il Pontefice auspichi un’educazione fondata non sull’autoritarismo ma diretta a formare la libertà dei giovani affinché imparino a condurre la loro vita cercando di fare il bene. Questo comporta da parte degli adulti «l’attivazione di processi di apprendimento facendosi gradualmente da parte e accompagnando la lenta maturazione della libertà»; solo così le famiglie potranno divenire una ecclesiola, una piccola Chiesa, pur nella loro diversità biografica e culturale, in quanto «chiamate a offrire umilmente il loro stile di vita, fatto di affetti e conflitti, di riconciliazione e pazienza reciproca nell’apprendimento della vita insieme, come vera matrice di vita per la Chiesa».

In tale modus operandi risiede il concetto di tradizione, che Leonardo Paris, docente di teologia dogmatica all’Istituto superiore di scienze religiose «Romano Guardini» di Trento, ha voluto analizzare nella sua relazione affiancandolo a quello di “eredità” per poterne cogliere gli aspetti dinamici, tre in particolare, legati alla figura del Cristo/erede: il ricevere, il fare proprio, il lasciare.
Tre voci problematiche e talvolta ambigue, tanto per le dinamiche della tradizione quanto per la cristologia, ma risolvibili guardando a Gesù in chiave pneumatologica. Infatti, «nella prospettiva dell’eredità – ha puntualizzato – il fare proprio è ciò che costituisce i figli. Da qui deriva il ruolo dello Spirito, come spinta, conatus , nella direzione dell’assunzione e della testimonianza individuale (martyria ) – tanto per Gesù quanto per Stefano e tutti gli altri dopo di loro – e della realizzazione singolare (la santità e il carisma)». Se si vuole percorrere questa strada è necessario allora guardare alla prospettiva del dono della figliolanza offerto dallo Spirito, che non si esaurisce nel semplice concetto di “regalo”: proprio perché si tratta di un’eredità, «la figliolanza esce dal campo della pura gratuità per entrare anche in quelli complementari del diritto e del dovere», inevitabilmente consegnata alla vita in una forma che solo in senso molto astratto è un dono.

Il ruolo centrale avuto dalle immagini sacre nel percorso della tradizione cristiana è stato invece l’argomento discusso dal gesuita Andrea Dall’Asta, direttore della Galleria San Fedele di Milano. Esse, ha rimarcato, hanno sempre avuto il compito di ripresentare nell’oggi un evento della storia della salvezza, cancellando la distanza temporale tra il fedele e l’evento e senza essere mai concepite come un'”opera d’arte” così come oggi noi la intendiamo. Ora invece la Chiesa ha assistito a una sorta di “azzeramento teologico” per il quale le sue categorie “estetiche” non corrispondono più a quelle presenti nei diversi contesti sociali e culturali, che seguono criteri diversi, e, con un senso di smarrimento e di confusione, «cerca oggi di volgere il proprio sguardo al passato, riaffermando i principi secolari della propria tradizione e cercando di riproporne le “forme”»; e lo fa senza perdere la fiducia «che il Vangelo possa fecondare la vita di oggi traducendola nei suoi linguaggi».

Proprio la dialettica memoria-dimenticanza è stata oggetto di analisi nell’intervento di Raffaella Iafrate, docente associato di psicologia sociale presso la Facoltà di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha evidenziato come essa non sia «contraddizione ma segno della complessità umana tra continuità e cambiamento», una dinamica necessaria al singolo e alla società entro però certi canoni. Esempio emblematico è quello della trasmissione intergenerazionale che si osserva nella relazione tra una coppia di nuova costituzione e le famiglie d’origine dei due partner: laddove la memoria è schiacciante, si assiste a una “replica”, dunque all’assunzione del patrimonio e alla sua trasmissione senza una rielaborazione personale e innovativa; se invece prevale l’oblio come rimozione o diniego, allora siamo di fronte a una volontà di interruzione di tale trasmissione intergenerazionale. «Quando invece il processo di distinzione riesce – ha puntualizzato Iafrate – significa che è all’opera la dialettica degli opposti e che quindi vi è il riconoscimento della storia familiare e l’impegno a proseguirla con apporti innovativi».

Inserendosi sulla scia degli interventi precedenti, Pierpaolo Triani, docente di pedagogia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha evidenziato tre passaggi riguardanti, il primo, la condizione esistenziale dell’età di mezzo, caratterizzata dall’intreccio di diversi aspetti tra cui la preoccupazione, la generatività, la paura del fallimento, la costruzione del futuro; il secondo, la necessità nelle pratiche educative di considerare attentamente la dinamica formativa dell’adulto; e, infine, le possibili linee di lavoro per pratiche pastorali a misura dell’età di mezzo, considerando come essa chieda una flessibilità formativa che eviti l’improvvisazione, costruendo spazi di gratuità, amicizia, narrazione condivisa, riconciliazione, interiorità, essenzialità.

(L’Osservatore Romano – 7 aprile 2022)