Jerry Jumbam: “L’Occidente deve imparare dalla famiglia africana”

di Arnaldo Casali

“Il Concilio Vaticano II e Amoris Laetitia ci hanno insegnato che la Chiesa non deve solo insegnare alle famiglie, ma imparare da esse”.

Don Gerald Jumbam Nyuykongmo detto Jerry ha quarantadue anni e viene dal Camerun: una terra dove si consuma da cinque anni un pezzo di quella Terza guerra mondiale evocata da papa Francesco. Ma uno di quei pezzi dimenticati, di cui si parla pochissimo.

Autore dei libri Pope Francis: Hero of Africa e Independence or Nothing. Theology of Self-Determination and the British Southern Cameroons, Jerry ha studiato al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e oggi insegna teologia e interculturalità all’Angelicum.

“Al Giovanni Paolo II ho vissuto tre anni bellissimi. E’ stato un momento di grande grazia, perché ho imparato tantissime cose sulla teologia morale del matrimonio e della famiglia, che oggi mi aiutano ad aiutare le persone nella parrocchia, ma anche nella mia vita personale. Tra l’altro ho difeso la mia tesi di dottorato proprio nell’anno in cui è stata pubblicata Amoris Laetitia”.

Un testo che è stato accolto in un primo momento con molta diffidenza.
“Perché sono stati criticati dei passaggi estrapolandoli dal contesto. Ma Amoris Laetitia va letta tutta. Ecco, devo ringraziare l’Istituto Jp2 perché mi ha permesso di leggerla e approfondirla nella sua interezza. E oggi ringrazio papa Francesco, perché è un documento davvero attuale, che tocca le corde della contemporaneità. Ci insegna ad entrare nella storia delle persone per conoscere le situazioni, ascoltare le loro sofferenze, condividere la loro vita”.

Che cosa le resta dell’esperienza al Jp2?
“La possibilità di conoscere la Chiesa attuale, la Chiesa contemporanea, la Chiesa del Concilio Vaticano II, che è incarnato negli scritti di papa Francesco. Amoris Laetitia non è solo un documento sulla famiglia, ma parla a tutta la teologia morale”.

Che cosa rappresenta Amoris Laetitia per l’Africa?
“La nostra antropologia parla di Ubuntu, che è proprio la “gioia dell’amore”. Amoris Laetita insegna ai preti, ai vescovi e ai catechisti che prima di formare la coscienza dei fedeli, devono lasciare i fedeli liberi di usare la loro coscienza. Per troppo tempo abbiamo trattato i laici come bambini da nutrire con i nostri insegnamenti. Adesso il Papa ci lancia questa sfida: lasciarli vivere la loro vita, lasciarli anche sbagliare e imparare dagli errori. Ci spiega che quando vogliamo aiutare le persone che soffrono per un matrimonio ferito non dobbiamo cominciare dalla dottrina, ma ascoltare la loro storia per capire da dove arriva il problema e come viene vissuto. Non dobbiamo solo formare le coscienze ma accompagnarle. E anche io, da prete, ho bisogno di formare la mia coscienza”.

Ascoltare prima di giudicare.
“Sì, e in Fratelli tutti papa Francesco ha citato anche l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu per sottolineare l’importanza di portare il messaggio di Cristo in ogni continente, cercando sempre di ascoltare tutte le culture”.

Quindi non solo insegnare ai laici, ma imparare dai laici.
“Questo è importantissimo. C’è un teologo sudamericano che ha detto che noi parliamo dei poveri e li vogliamo evangelizzare, ma in realtà sono i poveri che ci insegnano: e un missionario deve prima di tutto imparare. E’ uno scambio molto ricco”.

Che cosa può imparare l’occidente dall’Africa?
“A vivere insieme. In Africa si vive insieme, mentre in occidente l’individualismo ha fatto perdere il senso della comunità”.

Il suo paese oggi è lacerato da una guerra civile.
“La situazione è molto complicata. Il Camerun era una colonia tedesca che dopo la Prima guerra mondiale è stata spartita tra Francia e Inghilterra, con due impostazioni culturali molto diverse: i francesi, infatti, hanno imposto un modello di vita occidentale, mentre gli inglesi erano più rispettosi delle culture locali. Quando negli anni ‘60 è arrivata l’indipendenza, al Camerun anglofono è stato chiesto, con un referendum, di scegliere se unirsi alla Nigeria – altra ex colonia inglese – o al Camerun francofono. L’idea, però, era quella di una federazione con larghe autonomie, su modello del Canada. Con il passare del tempo, invece, la parte francofona ha iniziato a soggiogare quella anglofona”.

Scatenando una ribellione.
“Gli indipendentisti lottano per avere autonomia e dignità. Abbiamo scelto di unirci ai nostri fratelli francofoni, ma non accettiamo di continuare ad essere trattati come fratelli minori. Il governo – che è sempre stato francofono – opprime la nostra gente”.

Come in Ucraina, anche la guerra in Camerun subisce l’influenza di potenze estere, come Francia e Stati Uniti.
“La situazione è molto simile a quella dell’Ucraina, ma se ne parla molto di meno perché i mezzi di comunicazione si interessano pochissimo di quello che avviene in Africa. Oggi non esiste, di fatto, un’identità del Camerun anglofono, per questo l’unica strada che rimane è quella dell’indipendenza”.

Non c’è un’alternativa al separatismo?
“Da parte del governo non c’è interesse ad andare alle radici del problema, né a sedersi al tavolo della trattativa. E’ questo atteggiamento che ha provocato la reazione armata di tanti ragazzi”.

La sua famiglia è coinvolta direttamente in questa situazione drammatica.
“Mio padre insegnava storia e pedagogia ed era una voce dei senza voce. Adesso lui è in esilio insieme a mia madre. E’ fuori dal Camerun e non posso dire dove si trova perché è ancora in pericolo”.

Lei, però, continua a credere nella pace.
“Solo il dialogo può risolvere questo problema, sedendosi al tavolo del negoziato. La nostra gente vuole questo. Ma purtroppo quando non si trova ascolto è forte la tentazione di prendere le armi”.

(da Avvenire di domenica 5 giugno 2022)