«Abbiamo deciso di sposarci». Scelta tra volontà, eros e fede

di Luciano Moia

Introdurre al discernimento come stile di vita cristiana ed ecclesiale per favorirne lo sviluppo all’interno delle comunità e nella pastorale familiare, raccogliendo le molteplici sollecitazioni provenienti da Amoris laetitia.

È stato questo l’obiettivo del congresso Il discernimento: uno stile cristiano di vita organizzato dal Pontificio Istituto Teologico ‘Giovanni Paolo II’ e il Dicastero laici, amiglia e vita, in collaborazione con la Diocesi di Roma, che si è concluso venerdì.

L’iniziativa ha rappresentato il secondo appuntamento del ciclo di convegni organizzati in occasione dell’Anno Famiglia Amoris Laetitia. Il sottosegretario del Dicastero laici, famiglia e vita, Gabriella Gambino, ha parlato del discernimento pastorale come «centrale nel magistero di papa Francesco, cammino faticoso ma indispensabile per essere capaci di scelte che mai avremmo immaginato prima per rendere la realtà familiare percepibile a Dio». Il preside del Jp2 Philippe Bordeyne ha messo in luce il discernimento «come tentativo di sfuggire alla complessità della vita e della fede con semplificazioni insoddisfacenti». Tutti di grande spessore gli interventi dei docenti dell’Istituto e di altre facoltà teologiche italiane e straniere. Luca Pedroli ha proposto di avvicinarsi al discernimento nella lettura dell’Apocalisse, «come recupero del ‘valore’ della confusione che ci toglie dall’illusione che tutto possa procedere secondo i nostri schemi per discernere nuove modalità». Luca Bressan della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano ha spiegato perché «non basta aggiungere qualcosa al nostro modo di fare pastorale familiare, ma serve un’autentica svolta. Non basta fornire competenze e indicazioni. La pastorale familiare deve interrogare la fede di chi la propone, ma non basta incaricare la famiglia di fare quello che la Chiesa non riesce più a fare, per esempio nella catechesi, e poi accusarla di non saperlo fare».

Filippo Aschieri e Cristina Augello, docenti di psicologia dell’Università Cattolica di Milano, sono entrati nel vivo delle dinamiche di coppia, presentando alcuni dati di una relazione che illustra i motivi profondi per cui i partner si attraggono – e talvolta si respingono – in un gioco sottile e complicato di attrazioni, differenze, fragilità, entrando in profondità nelle ragioni della crisi coniugale. Sono poi anche intervenuti Giovanni Cesare Pagazzi, Maurizio Chiodi, Alain Thomasset del Centre Sèvres di Parigi, Gilles Routhier dell’Université Laval in Québec, Nicola Reali della Pontificia Università Lateranense. E poi Domenico Simeone dell’Università Cattolica Milano ed Emilia Palladino della Pontificia Università Gregoriana di Roma.

«Abbiamo inteso rilanciare e approfondire la questione del discernimento come atto ecclesiale ma anche come tema più ampio, come ‘esercizio del cristianesimo’ per affrontare la realtà, come processo che si inserisce come punto di snodo della vita familiare, per capire cosa il Signore vuole qui e ora per la realtà dei credenti – ha spiegato Pier Davide Guenzi, docente di teologia morale del Jp2, responsabile scientifico dell’incontro – mentre nel pomeriggio la sessione pomeridiana si è proposta di non limitare la questione del discernimento a situazioni particolari, ma di comprenderla come approccio che attraversa integralmente le fasi del legame coniugale e familiare, incrociando a titolo esemplificativo alcune espressioni meritevoli di una specifica attenzione pastorale».

Pubblichiamo qui sotto ampi stralci del rettore della Pontificia Università Salesiana, Andrea Bozzolo, sulla rilevanza del discernimento per riconoscere la consistenza del legame di coppia.

Nei numeri dal 205 al 211 Amoris Laetitia affronta il tema dell’accompagnamento dei fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio. L’esortazione apostolica richiama diversi aspetti di tale preparazione: il necessario coinvolgimento di tutta la comunità, il valore insostituibile della testimonianza offerta dalle famiglie (in primis quelle di origine), l’opportunità di incontri formativi di gruppo e dell’accompagnamento personalizzato, l’importanza della pratica delle virtù, in particolare della castità, e l’esigenza di una solida vita sacramentale. Questi diversi elementi vengono in certo senso ricondotti a unità attraverso l’introduzione della categoria di iniziazione: «Si tratta di una sorta di ‘iniziazione’ al sacramento del matrimonio che fornisca loro gli elementi necessari per poterlo ricevere con le migliori disposizioni e iniziare con una certa solidità la vita familiare» (207). In questo modo la preparazione al matrimonio viene avvicinata alla struttura del cammino catecumenale, suggerendo la necessità di un itinerario in cui l’ascolto della Parola, la rilettura del vissuto personale, l’impegno di conversione e la pratica liturgica devono interagire in positiva circolarità. In questo contesto, un rilievo particolare viene attribuito all’approfondimento delle motivazioni che conducono i fidanzati a celebrare il sacramento del matrimonio. La constatazione di un numero rilevante di fallimenti nella vita familiare sollecita una considerazione più attenta di questo fattore, poiché esso si rivela determinante per la tenuta del patto coniugale. Per maturare motivazioni adeguate, il testo afferma che è necessario vivere la preparazione alle nozze essenzialmente come un tempo di discernimento, durante il quale i fidanzati sono invitati a «esprimere ciò che ognuno si aspetta da un eventuale matrimonio, il proprio modo di intendere quello che è l’amore e l’impegno, ciò che si desidera dall’altro, il tipo di vita in comune che si vorrebbe progettare» (209).

Attraverso il confronto su questi argomenti, la coppia può così sviluppare un atteggiamento progettuale, superando il livello della semplice attrazione reciproca che non costituisce una base sufficiente per dare stabilità all’unione. L’intento che emerge da questi paragrafi di “Amoris Laetitia”, quindi, è quello di favorire il passaggio dal fascino emotivo che fa sorgere la coppia alla decisione ponderata che le consente di durare. La sola fascinazione si rivela acerba e insufficiente perché «l’abbaglio iniziale porta a cercare di nascondere o di relativizzare molte cose, si evitano le divergenze, e così solamente si scacciano in avanti le difficoltà» (209). Per dare al legame una consistenza che resista alle prove della vita occorre invece cercare ragioni più profonde: «Nulla è più volubile, precario e imprevedibile del desiderio, e non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio se non si sono approfondite altre motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di stabilità» (209)… La motivazione costituisce una ragione per l’agire, ma la sua forza risulta operante solo in quanto essa viene assunta da chi decide, entrando in rapporto con ciò che egli sente di poter fare e desidera compiere. La motivazione, dunque, implica allo stesso tempo una valutazione razionale di convenienza, l’apprezzamento etico di un valore e un’implicazione personale del soggetto, segnalata dalla risonanza emotiva. Per questo non può essere presentata come una realtà semplicemente ‘alternativa’ al desiderio, bensì come l’elemento che articola la passività della coscienza radicata nel corporeo (l’involontario) con il momento deliberativo (il volontario). In altre parole, la motivazione non è un’idea che la ragione sarebbe chiamata ad approfondire, in modo che la volontà si determini a tradurla in atto, ma l’appropriazione che il soggetto fa di un valore attraverso la rappresentazione con cui anticipa la meta ultima del suo volere. A questa prospettiva il testo di Amoris Laetitia si avvicina di fatto quando nel n. 205 indica lo stile che deve avere la proposta di catechesi indirizzata ai fidanzati: «Non si tratta di dare loro tutto il Catechismo, né di saturarli con troppi argomenti. Anche in questo caso, infatti, vale che ‘non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose’. Interessa più la qualità che la quantità, e bisogna dare priorità – insieme ad un rinnovato annuncio del kerygma – a quei contenuti che, trasmessi in modo attraente e cordiale, li aiutino a impegnarsi in un percorso di tutta la vita ‘con animo grande e liberalità». Lo stile che la catechesi deve avere per motivare al matrimonio – per aiutare a impegnarsi, come dice il testo – viene identificato attraverso due citazioni di Ignazio di Loyola, che mostrano l’insufficienza del momento istruttivo, anzi la sua inutilità, se esso non arriva a far sentire e gustare il bene che propone e non induce un atto di volontà assunto con animo grande e liberalità, ossia con lo slancio della convinzione e della generosità. Si potrebbe dire con lo slancio di un desiderio persuaso. La motivazione dunque non deve compensare un desiderio descritto come ‘volubile, precario’ e addirittura ‘imprevedibile’ (209) ma deve piuttosto intercettarlo nel suo sentire, così da renderlo capace di grandezza e nobiltà… Il riconoscimento di questa dignità di eros è molto importante per il discernimento pastorale della consistenza del legame di coppia. Non bisogna infatti commettere lo sbaglio di sottovalutare la portata dell’attrazione reciproca, quasi fosse un mero abbaglio da lasciarsi alle spalle, ma piuttosto approfondirne le ragioni, affinandone lo sguardo e verificandone la mira. Il movimento innescato dal desiderio e dall’affectus va quindi condotto a maturazione, attraverso il riconoscimento dei motivi che ne hanno acceso la risonanza e il discernimento dei comportamenti che ne onorano l’intuizione. Ma in nessun momento può essere accantonato, come se rappresentasse la ‘parte bassa’ di un’alleanza che deve invece fondarsi su principi e valori pensati come altri rispetto alla sua energia. L’atto del volere, che decide motivatamente, è indubbiamente più impegnativo del solo desiderare. Esso infatti implica la disposizione pratica ad agire, che nell’accendersi del desiderio può restare sospesa, e l’impegno di escludere altre opzioni, che rimangono invece ancora aperte nel momento desiderante. Ma, pur con la sua novità eccedente, il volere rimane ‘una forma intenzionale interna alla vita del desiderio’. Questa verità è particolarmente evidente nel caso del matrimonio, che certamente non può essere voluto se non in quanto desiderato. Nell’idea di desiderare qualcuno come coniuge è implicata, infatti, la sfumatura di un’attesa che rimane sospesa al riconoscimento e alla corrispondenza dell’altro. Volere una persona come proprio/a coniuge implica ovviamente un passo ulteriore, ma se tale passo non conservasse la tonalità del desiderio potrebbe indirizzarsi nella direzione della pretesa indebita, inclinando alla ‘conquista’ dell’altro ed eventualmente al suo ‘dominio’. Il volere nella modalità coniugale è, invece, una scelta che non può avere forma perentoria, poiché esprime un’intenzione volta a far spazio all’intenzione dell’altro. Un volere dunque che desidera ‘intrecciarsi’ con il volere dell’altro, che dona un consenso e lo riceve. Un volere che – come è stato felicemente detto sceglie di essere scelto. Sulla base di queste precisazioni iniziali, possiamo così configurare il discernimento sulla qualità della consistenza del legame della coppia come un discernimento sulla qualità del volere desiderante dei fidanzati, per verificare se esso è conforme alla natura dell’alleanza coniugale e alla fede implicata nel gesto sacramentale, ossia ultimamente se esso è conforme al volere di Dio rivelatosi in Gesù…

(da Avvenire di domenica 20 febbraio 2022)