Ripartire dalla famiglia

di Gilfredo Marengo

«Famiglia, l’amore che riapre la storia»: così l’Istituto teologico Giovanni Paolo II  per le scienze del matrimonio e della famiglia ha presentato la sua rinnovata proposta accademica.

Queste tre parole tracciano uno scenario in cui sviluppare una riflessione e un’azione pastorale che si faccia carico delle circostanze attuali nelle quali la comunità ecclesiale è chiamata a onorare la centralità del matrimonio e la famiglia nella vita della Chiesa, collocati dal Vaticano II al primo posto tra «alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti, che toccano in modo specialissimo il genere umano» (GS46). Nella scia del Concilio si pose l’imponente investimento su questi temi del magistero di Giovanni Paolo II, fino a giungere alla lunga stagione sinodale (2013-2015) voluta da Francesco e culminata con l’Esortazione Amoris laetitia (19 marzo 2016).

Oggi si è preso atto dell’emergere di nuove e inedite problematiche e di un divario sempre più profondo tra l’insegnamento ecclesiale sul matrimonio e la famiglia e la sua effettiva recezione nella vita della comunità ecclesiale. Questa fragilità dell’esperienza cristiana ha condizionato la capacità della vita della Chiesa a misurarsi con successo proprio con le nuove questioni presenti nell’attuale  cambiamento d’epoca”, come se le circostanze, obiettivamente non facili, fossero un’obiezione e non la condizione del suo agire e della sua testimonianza nel mondo. Ripartire dalla famiglia permette, innanzitutto, di smarcarsi dall’effetto omologante della tradizione dell’amore romantico, tutto incentrato sulla relazione di coppia, quindi incapace di riconoscere adeguatamente il valore della generazione e delle relazioni familiari. D’altra parte, fin dagli anni Settanta la pastorale familiare ha investito soprattutto nella preparazione delle coppie alla celebrazione del matrimonio, prendendo atto della progressiva scomparsa di una cristianità di tradizione, in un contesto segnato da una generale messa in discussione delle “istituzioni”, incluso il matrimonio.

Alla luce di queste valutazioni ci si è mossi in due direzioni: rilanciare la comprensione del matrimonio cristiano secondo il paradigma classico dei tria bona (unità, indissolubilità, fecondità) e guidare a pratiche virtuose della regolazione delle nascite, alla luce dei criteri fissati dall’Humanae vitae (25 luglio 1968). In entrambi i casi, l’accento cadeva ancora su una comprensione “naturale” dell’amore e del  matrimonio, valorizzata in quanto universalmente condivisibile: la Chiesa – investendo su di essa – si presentava come il soggetto capace di custodirne la verità e renderne possibile una piena attuazione. A fronte della messa in discussione della procreazione come “fine primario” del matrimonio per il diffondersi di pratiche di controllo della natalità, la Chiesa si è mossa in due direzione: il rispetto della finalità “naturale” degli atti della sessualità (contro le pratiche contraccettive) e il recupero dell’amore come cifra sintetica del fine perseguito dalla coppia nella relazione  sponsale.

La riscoperta dell’amore umano, forse il lascito più prezioso del magistero di Giovanni Paolo II, non sempre è stata valorizzata appieno. Ne è conseguita, talvolta, una pastorale familiare per lo più incentrata sulla proposta dei metodi naturali di regolazione delle nascite, intesi come cartina di tornasole di una piena appartenenza ecclesiale delle famiglie: l’insistenza su profili identitari ha rischiato di ridurre il prendersi cura dell’accompagnamento delle famiglie a una «trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere» (EG 35).

Per questi motivi, allora, coniugare storia e amore mette radicalmente in discussione il risolvere la formazione e la cura pastorale delle coppie nella proposta di un  “modello” ideale al quale conformarsi, sviluppato a partire da un rigoroso impianto dottrinale e da cui dedurre un sistema di norme etiche: «Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (Francesco, Alla comunità accademica del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, Roma, 27 ottobre 2016).

Bisogna investire nella formazione delle coppie a partire dalla loro relazione, prendendo atto che per ognuna di esse il cammino è differente: «Nell’unirsi, gli sposi diventano protagonisti, padroni della propria storia e creatori di un progetto che occorre portare avanti insieme. Lo sguardo si rivolge al futuro che bisogna costruire giorno per giorno con la grazia di Dio» (AL 218).

Si tratta di prendersi cura della difficile  condizione in cui oggi molti uomini sono chiamati a mettere in gioco la propria libertà; non piccoli sono i condizionamenti legati all’attuale temperie storica, ma è quanto mai necessario mantenere viva la promessa di un bene possibile e di una vita buona. Andare oltre la tendenza a immaginare un’immagine ideale di famiglia, permette di tenere insieme la certezza della fede nel piano di Dio sulla vita degli uomini e riconoscere che aderire pienamente a quel progetto passa anche dentro l’esperienza dell’errore e della fragilità.

Farsi carico di uno dei problemi più urgenti del tempo (la famiglia), nella luce del mistero di Cristo, chiede di mostrare tutta la capacità della novità cristiana di accompagnare ogni uomo a rischiare la propria libertà nel grande “lavoro” del vivere e dell’amare.

(da Vita Pastorale – ottobre 2020)