È la famiglia il modo evangelico di considerare il mondo – La prospettiva ecclesiologica dell’Istituto Giovanni Paolo II

di Giovanni Cesare Pagazzi

Onorando il mandato di papa Francesco che nel motu proprio “Summa Familiae Cura” ha istituito il nuovo “Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia”, le autorità accademiche ne hanno elaborato e visto approvare dalla Santa Sede gli “Statuti” e l’“Ordinamento degli Studi”. Tra le novità spiccanti, già additate dal preside mons. Pierangelo Sequeri sulle pagine dell’Osservatore, è il consistente spazio accordato alla prospettiva ecclesiologica. Del resto Francesco l’aveva esplicitamente richiesto nel motu proprio, parlando del “peculiare profilo ecclesiale della famiglia” che è “decisiva per il futuro del mondo e della Chiesa”.

Certo, l’interesse ecclesiologico per la famiglia ha motivazioni lampanti. Come dimenticare che le famiglie e le loro case sono state i primi luoghi delle comunità cristiane e continuano ad essere l’ambito originario della trasmissione della vita e della fede? Non per nulla le famiglie sono chiamate “piccole chiese” e la Chiesa è spesso nominata “famiglia”, sacramento dell’umanità tutta che è la complicata, drammatica e magnifica famiglia di Dio.

Ma, forse, l’intento di chi ha predisposto il piano di studi del nuovo Istituto è ben più originale, argomentato e coraggioso. Non si tratta di considerare la famiglia come “allegoria” della Chiesa, né di presentarla quale calda riserva emotiva che bilancia il rigore delle istituzioni ecclesiali o il ritmo serrato della pastorale ordinaria. Piuttosto s’intende mostrare l’ellisse “famiglia-Chiesa” come l’ontologia cristiana, il modo evangelico di considerare il mondo. E ciò perché i legami con persone e cose, di cui la famiglia è risultato e origine, il loro spesso oscuro intreccio sensoriale e affettivo, non sono corollari dell’essere, ma sono l’essere; non sono aggiunte secondarie alla realtà, ma la realtà stessa, la sua forza e la sua forma, la sua energia e la sua possibile giustizia. I legami sono la carne del mondo e la famiglia è la carne dei legami. Comprendere il mondo in maniera disincarnata significa scarnificarlo, mortificarlo, costringendolo in una gabbia di concetti, norme, progetti e modelli inerti. Il campo di forze e di forme attivato dall’ellisse “famiglia-Chiesa” è l’ontologia cristiana poiché è il modo squisitamente evangelico di vivere i legami. È la cristiana spiegazione del mondo e il suo evangelico dispiegamento. Non per nulla il corpo compiuto di Cristo sarà composto dalla Chiesa e da tutte le cose (Efesini 1,22-23), senza soluzione di continuità. La Chiesa è destinata ad ogni (ogni!) cosa, a tutto quanto compone la carne del mondo; niente di meno. È la sua fatica e il suo vanto, la sua missione e il suo premio. Ebbene, i legami che compongono le famiglie costituiscono la carne della Chiesa, l’alfabeto necessario se s’intende parlare al mondo, destinato prima o poi ad essere abitato dallo Spirito Santo, dalla sua incomprensibile premura, dalla sua sorprendente potenza. Chi sa quanto può il mondo se abitato dallo Spirito di Cristo? La Chiesa ha il potere e il dovere di rispondere a questo interrogativo. Riuscirà nella misura in cui non si staccherà dalla sua carne, vale a dire dai legami con persone e cose che costituiscono la trama d’ogni famiglia (anche la più complicata) e della realtà tutta.

Ecco perché è necessario che un istituto accademico destinato ad indagare la realtà della famiglia promuova, tra le altre, una visuale ecclesiologica. Altrimenti la Chiesa rischierebbe di non essere all’altezza dello sguardo di Gesù, capace di evangelizzare la carne, salvandola dalla sua drammatica, mortale fiacchezza, ma al contempo in grado di cogliere il Vangelo che in essa già freme.

Leggi l’articolo apparso il 27 luglio su L’Osservatore Romano.