Coppie tra memoria e oblio

«Trasmettere non è riprodurre ma generare qualcosa di nuovo, perché la storia è al servizio della vita e non viceversa».
Un nuovo percorso d’amore non può prescindere dall’accoglienza e dalla rielaborazione delle storie familiari. Sarebbe un errore la replica senza innovazione, ma anche il rifiuto totale della trasmissione intergenerazionale.

Nei giorni scorsi il Pontificio Istituto teologico ‘Giovanni Paolo’ ha organizzato un convegno sul concetto di Tradizione, terza giornata di studio nell’anno ‘Amoris Laetitia’ nel quinto anniversario della pubblicazione, in collaborazione con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e la Diocesi di Roma. Perché parlare di tradizione? L’ha spiegato Giovanni Cesare Pagazzi, direttore scientifico del convegno. Tra gli altri interventi quello della biblista Donatella Scaiola (Pontificia Università Urbaniana), del teologo Leonardo Paris, di Andrea Dall’Asta, direttore Galleria San Fedele di Milano, di Stephan Kampowski del ‘Giovanni Paolo II’ e di Pierpaolo Triani della Cattolica di Milano.

La scorsa settimana abbiamo pubblicato ampi stralci dell’intervento di Philippe Bordeyne, preside del ‘Giovanni Paolo II’ su ‘Quali forme di tradizione, trasmissione ed eredità?’.  Oggi diamo spazio ad alcuni passaggi della riflessione di Raffaella Iafrate, della Cattolica di Milano, su ‘Memoria e dimenticanza: polarità necessaria tra le generazioni, nella famiglia e nella società’.

di Raffaella Iefrate

Nel campo di cui mi occupo dal punto di vista professionale, come psicologa sociale della famiglia, la dinamica della ‘giusta memoria’ e del ‘giusto oblio’ si riesce a cogliere affrontando il tema della trasmissione intergenerazionale che accomuna sia gli eventi personali e familiari, sia quelli storici e sociali. Esempio emblematico è quello della trasmissione intergenerazionale che si osserva nella relazione tra una coppia di nuova costituzione e le famiglie d’origine dei due partner. Il compito che i membri della coppia sono chiamati ad assolvere sull’asse intergenerazionale è quello di attuare un nuovo tipo di legame con le famiglie di origine, potremmo dire ‘tra memoria e oblio’ delle proprie storie passate.

Il matrimonio infatti comporta non solo l’unione di due persone, ma anche l’incontro di due storie familiari con le loro specifiche e diverse modalità di atteggiarsi nei confronti della vita e della società. Parlare di formazione della coppia significa dunque tener presente un sistema almeno trifamiliare composto dalla neo-coppia e dalle due famiglie d’origine le quali a loro volta veicolano culture familiari plurigenerazionali.

Ogni essere umano non nasce infatti nel vuoto bensì in uno spazio le cui coordinate sono date da una storia familiare sedimentata attraverso più generazioni che veicola significati e aspettative specifiche. La trasmissione tra le generazioni non riguarda solo i geni, ma anche un patrimonio di beni materiali (il possesso di terre, case, oggetti), di status (posizione della famiglia nel contesto sociale) di valori, credenze, tradizioni, modalità relazionali, miti, tabù, aspettative e così via. Tale patrimonio si manifesta in alcune pratiche e routine familiari ‘visibili’ (ad es. come si mette la tavola, come si festeggiano i compleanni, etc.) e in alcune credenze (come si curano le malattie, come si crescono i neonati e come si alimentano, etc.), ma incide anche su aspetti meno tangibili, come la storia (la guerra, i trasferimenti, le emigrazioni, eventi particolari, lutti ecc.), le aspettative di ruolo (quali sono i compiti di un uomo e di una donna), i valori, il senso religioso, le aspirazioni scolastiche e professionali, gli atteggiamenti verso il denaro e la politica e così via. Quando si forma una coppia, queste appartenenze si incontrano, e si confrontano, ma non passano ‘deterministicamente’ da una generazione all’altra. I partner non sono chiamati a riprodurre pedissequamente le proprie storie familiari.

Il processo di trasmissione familiare, la modalità con la quale le generazioni tra loro si relazionano e si passano significati, rappresentazioni, valori, non è affatto deterministico.
Nella trama delle generazioni familiari la coppia, che si trova per sua natura all’incrocio di due rami e due storie familiari, ha il ruolo fondamentale di mediatore, di ‘cinghia di trasmissione’, potremmo dire. La coppia è un nuovo, inedito dispositivo che non può prescindere dai vincoli e dalle risorse ereditate dalle proprie stirpi familiari, ma che ha anche in sé la possibilità di rinnovare tali eredità (di accoglierle senza ripeterle e di dire qualcosa di nuovo) e di trasmetterle, rinnovate, alla generazione successiva.
Nell’incontro e nel confronto di coppia vi è dunque lo ‘spazio’ per una rivisitazione e rielaborazione della propria storia personale per costruire modalità relazionali diverse e questo avviene attraverso la dialettica memoria/ oblio. Laddove la memoria è ipertrofica e schiacciante, si assiste ad una ‘replica’, dunque all’assunzione del patrimonio e alla sua trasmissione senza una rielaborazione personale e innovativa; laddove prevale l’oblio come rimozione o diniego si può evidenziare una frattura (espressa come negazione o rifiuto del legame) vale a dire una volontà di interruzione di tale trasmissione intergenerazionale, in quanto la neocoppia non riconosce di poter accogliere qualcosa di buono di ciò che è stato trasmesso dalle generazioni precedenti e percepisce la propria famiglia e il proprio essere coppia come radicalmente differenti da quanto essi hanno vissuto all’interno delle proprie famiglie di origine. In questi casi abbiamo a che fare con coppie imprigionate dal confronto con le generazioni precedenti (anche chi desidera comportarsi in modo completamente diverso dalla generazione precedente ha presente, bene e costantemente, chi non vuole imitare!).

Quando invece il processo di distinzione riesce, significa che è all’opera la dialettica degli opposti Lete e Mnemosine e che quindi vi è il riconoscimento della storia familiare e l’impegno a proseguirla con apporti innovativi, riconoscendone i contenuti valoriali positivi, impegnandosi a trasformare attivamente gli aspetti avvertiti come deficitari per consentire di portare avanti la voce del famigliare nelle generazioni successive. Solo in questo caso assistiamo alla ‘storia al servizio della vita e non viceversa’ di niciana memoria. Trasmettere non è riprodurre, ma generare qualcosa di nuovo. Anche le ricerche sulla trasmissione intergenerazionale, su come si trasmettono ad esempio i valori o alcune competenze relazionali, quali la gestione dello stress, la comunicazione o il perdono, mostrano che tutte generazioni possono accogliere in parte e lasciare andare quanto hanno ereditato non riproducendo fotocopia del passato. Il processo di trasmissione intergenerazionale è infatti considerato un processo a due passaggi, dove alla proposta di valori o modelli di cui fare memoria da parte della generazione precedente corrisponde un processo di vaglio degli stessi da parte della generazione successiva che esita in un’accettazione dei valori o modelli riconosciuti come positivi e nell’oblio del resto (…). L’uomo è originariamente ed essenzialmente relazione: la sua origine scaturisce da un incontro, da una relazione tra un padre e una madre e la sua crescita dipende dalla sua capacità di stabilire altre relazioni adeguate con le persone che costituiscono il suo ambiente familiare e sociale. Lo dimostrano gli studi della psicologia dello sviluppo (in particolare, gli psicologi dello sviluppo sottolineano che il bambino già da quando è nel ventre materno è un soggetto capace di comunicazione e relazione. I più recenti studi sul rapporto tra la madre e il figlio nella sua vita fetale, ripresi e sviluppati nell’ambito della neonatologia e della patologia neonatale, mostrano il profondo legame addirittura già tra la madre e il feto e la reciprocità dialogica tra madre e figlio fin dalle prime settimane di vita) e le riflessioni della psicologia sociale sull’identità (che arrivano ad affermare che l’individuo non può nemmeno definirsi se non in relazione agli altri: l’identità, infatti, nasce e si struttura nelle diverse forme di relazione sociale, che vanno dalle relazioni intime (in particolare familiari) all’appartenenza a gruppi più o meno ampi) Ecco perchè il modello relazionale simbolico nell’ambito della psicologia sociale della famiglia (elaborato da Scabini e Cigoli e sviluppato negli studi del Centro d’ateneo studi e ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano) individua come compito fondamentale per le nuove generazioni nei confronti di quelle passate la cura del ricordo che alimenta la cura della riconoscenza. Perché il dato, la traccia divenga memoria stabile in noi, parte di noi, dobbiamo per così dire curarlo nel tempo e attribuirvi un senso. È d’altro canto quello che facciamo con i nostri cari dopo la loro scomparsa. Ne curiamo la memoria perché rimangano in noi, almeno a livello simbolico. I nostri ricordi più preziosi svaniscono se non li curiamo. E la cura è l’espressione più profonda della dimensione relazionale del soggetto. (…)

(da Avvenire di domenica 17 aprile 2022)