L’arte della cicatrice

di Arnaldo Casali

Un’arte che non raffigura la bellezza ma trasuda la vita impressa nel tessuto, con tutto lo sporco, le cicatrici, le cuciture. Come una Sindone. Non a caso si chiama proprio Sindoni la più recente mostra di Sidival Fila, organizzata dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II al Battistero di San Giovanni in Laterano in occasione dell’Incontro Mondiale per le famiglie. Perché Fila — frate minore francescano (intervistato qualche settimana fa da Enrica Riera per questo giornale) — non dipinge e non scolpisce, ma cuce: restaura infatti antiche vesti liturgiche.

Nato in Brasile nel 1962, Sidival si è trasferito in Italia nel 1985 avviando un’attività artistica che ha interrotto con l’ingresso in convento, per riprenderla dopo diciotto anni, a partire dal 2006, con un percorso di ricerca che lo porta a confrontarsi con materiali in disuso, soprattutto tessuti come lino, cotone, seta, canapa, broccati, riscattando l’oggetto dalla sua condizione per restituirgli una voce, renderlo «diversamente inutile» e dandogli la possibilità di raccontare un vissuto fatto spesso di secoli di storia.

«Le opere di Sidival respirano e fanno respirare» spiega Alessandro Beltrami, giornalista di Avvenire. «Sono fodere di dalmatica: non la veste ricamata, però, ma quella interna, che resta a contatto con il corpo del diacono: la parte invisibile dello splendore, che prende su di sé il corpo, anche lo sporco, e cioè la vita». Nelle opere di Fila restano quindi impresse le esistenze, mettendo in relazione la storia umana con l’eternità.

«A primo impatto si resta molto disorientati nel vedere esposte queste vesti vecchie» aggiunge Giovanni Cesare Pagazzi, direttore della ricerca dell’Istituto Giovanni Paolo II , che ha dedicato a Fila un seminario. «Perché l’arte contemporanea, a differenza dell’arte classica, non ci spiega che cosa stiamo vedendo, ma ci suscita delle domande. Facendo questo, però, ci aiuta ad apprezzare la complessità della realtà, perché non mette al centro le forme, ma le forze. L’arte classica — continua Pagazzi — è attratta della bellezza e dalla santità. Quella contemporanea dal vestito e dal perdono. In Sidival l’arte si dimostra un luogo adatto dove forme e forze si coniugano in maniera particolare, diventando capaci di ospitare in maniera delicata e convincente persino ciò che è informe o deforme, esattamente come il mistero di Cristo, di cui si dice che è il più bello dei figli dell’uomo ma non ha apparenza o bellezza per attrarre i nostri sguardi».

«Nella Genesi è scritto che il Signore fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì» racconta Pierangelo Sequeri, direttore della Cattedra Gaudium et Spes dell’Istituto. «Mi è sempre parso che la potenza di questo versetto sia trascurata. L’uomo e la donna hanno trasgredito, stanno per essere estromessi dal giardino, e Dio si preoccupa di rivestirli, cucendo Egli stesso due tuniche! Sidival Fila percorre l’intera storia di questo versetto, fino a noi. Quella tunica, memoria dell’originaria tenerezza di Dio, non va buttata, non va sostituita, ma va semplicemente aggiustata».

«La tendenza a usare e gettare — aggiunge Sequeri — che sembra la cifra della nostra epoca, dove il godimento e la distruzione cercano alleanze sempre più audaci, rende ogni giorno più difficile la pazienza di tessere e ritessere le vite che ci sono affidate. Nella Sindone del Crocifisso — conclude il teologo e musicologo — sempre di nuovo impariamo che le ferite sono destinate a essere rimarginate. E nessuno, per quante ferite mostri, è da buttare».

Fila ha esposto, tra l’altro, a Madrid, Parigi, Miami e Bogotà. È presente anche nella collezione permanente di arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani e una sua opera è esposta nell’Auditorium dell’Istituto Giovanni Paolo II , «per accompagnare la nostra vita accademica — commenta il preside Philippe Bordeyne — con il suo messaggio di speranza e di accoglienza della fragilità umana. La sua arte, profondamente evocativa, intensamente spirituale e insieme di francescana semplicità, diventa la materia e la forma di una realtà tutt’altro che idealizzata ma fortemente ancorata alla vita, capace di tesserne le complessità e riunire i lembi delle inevitabili lacerazioni».

(L’OSSERVATORE ROMANO – 4 luglio 2022)