Leo e Luisa: “Eravamo lontani dalla fede, ora avviciniamo le coppie a Dio”

di Arnaldo Casali

“Per molti anni abbiamo creduto in un Dio lontano, che non ci interessava e non si interessava a noi. Un Dio che non entra nella tua vita quotidiana. Insomma, un Dio della domenica”.

Leonardo Carreno e Luisa Fernanda Cruz Rey hanno 36 anni, vengono dalla Colombia e studiano al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Nel loro passato c’è indifferenza e diffidenza verso la Chiesa, nel futuro il sostegno ai giovani, alle coppie di fidanzati, ma anche di conviventi e di omosessuali.
A cambiare la loro vita è stato l’amore. L’amore per l’altro e l’amore di Dio. Un amore arrivato a sconvolgere le loro esistenze e che adesso vogliono restituire. Anzi, condividere. “Nel matrimonio abbiamo scoperto che il sacramento non è una magia ma una responsabilità. Abbiamo scoperto un Dio che ha bisogno delle donne e degli uomini per entrare nella vita quotidiana dei suoi figli”.

Nati entrambi a Bogotà, Leo e Luisa si sono conosciuti nove anni fa nella banca per cui entrambi lavoravano.

Luisa: “Avevamo 27 anni ed eravamo entrambi fidanzati con altre persone. E’ nata un’amicizia, che poi è diventata amore. E con l’amore è arrivata anche la fede”.
Leo: “Tutto è cominciato con la malattia di mia sorella, che è stata accompagnata nel percorso di guarigione da una fondazione cattolica. Quel percorso l’ha portata anche alla conversione e ha finito per convertire anche noi, facendoci riavvicinare ai sacramenti dopo molti anni di lontananza”.
Luisa: “Abbiamo sperimentato davvero l’amore che trasforma. Perché stare con Leo mi ha spinto a essere una persona migliore, e quindi anche ad avvicinarmi a Dio”.

Quando vi siete sposati?
Leo: “Il 21 marzo 2015, dopo due anni di fidanzamento. Poco dopo abbiamo iniziato a coordinare un gruppo di fidanzati. Ci siamo resi conto che c’è un vuoto enorme tra la cresima e i corsi prematrimoniali, e abbiamo cercato di riempirlo. Poi abbiamo conosciuto un prete che aveva studiato al Jp2 ed è arrivata anche la formazione teologica”.

Come avete iniziato ad aiutare le altre coppie?
Leo: “Il mio migliore amico ci ha chiesto di fargli da testimoni. Noi abbiamo accettato solo a patto di fare un percorso insieme”.
Luisa: “Poi lo ha fatto mio fratello. E anche a lui abbiamo posto la stessa condizione. Allora la parrocchia ci ha affidato altre coppie che dovevano sposarsi”.

Vi siete iscritti al Jp2 in pieno lockdown.
Luisa: “Non si poteva viaggiare, così abbiamo seguito le lezioni da remoto. Dovevamo vivere dal lunedì al venerdì seguendo l’orario europeo e il sabato e la domenica seguendo quello della Colombia. Per questo ho deciso di lasciare il  lavoro: studiavo tutta la notte e non potevo continuare a lavorare dalle otto di mattina alle sei di sera!”.

E’ vero che vi svegliavate alle tre del mattino per seguire le lezioni in Italia?
Leo: “No, alle tre di notte cominciavano le lezioni: per seguirle ci svegliavamo alle una e mezza! Pensa che per fare quella vita abbiamo dovuto lasciare Bogotà, perché c’è molto rumore e una vita frenetica ed è impossibile andare a dormire alle sette di sera. Ci siamo rifugiati in un minuscolo paesino, dove la vita era più tranquilla. Io ho sempre continuato a lavorare come free lance da casa”.

Quale è stata la cosa più difficile?
Leo: “La lingua: a me piace tanto l’italiano e guardavo le telecronache delle partite di calcio nella vostra lingua. Era il mio modo di imparare”.
Luisa: “Io invece non parlavo una parola di italiano. Ho iniziato a studiarlo tre mesi prima di iniziare il corso, sempre online. Tutti i giorni, però, seguivamo su youtube la messa nella Santa Casa di Loreto”.

Messa virutale e lezioni virtuali.
Leo: “La prima settimana è stata dura svegliarsi così presto. Bevevamo tantissimo caffè: uno alle tre di notte, uno alle quattro, uno alle cinque… e il caffè colombiano è molto forte!”

Frequentavate le stesse lezioni?
Leo: “Sì, ed eravamo nella stessa stanza, ma con due postazioni diverse. E quando non capivamo ci dicevamo l’un l’altra: ‘non ho capito, chiedi tu – no, ti prego chiedi tu!”.
Luisa: “La prima sessione di esami è stata particolarmente dura. Leo ha scelto di sostenerli tutti in italiano, io invece ho deciso di farli in spagnolo perché non mi sentivo ancora abbastanza sicura!”.

Quest’anno siete arrivati finalmente a Roma.
Leo: “L’11 febbraio, dopo un anno e mezzo online, abbiamo messo piede per la prima volta dentro l’Istituto. E’ stata una grande benedizione”.
Luisa: “Anche senza mai incontrarci fisicamente avevamo stretto legami di amicizia molto forti con i professori e gli altri studenti. Vederli finalmente dal vivo e poterli abbracciare è stato meraviglioso”.
Leo: “Il giorno in cui siamo arrivati siamo stati accolti dal preside, il vicepreside, professori. Ci trattavano come celebrità! Al Jp2 abbiamo sperimentato l’accoglienza della Chiesa. Qui i professori e gli studenti formano una reale comunità. E poi noi studenti veniamo da ogni angolo del mondo e ognuno ha una storia da raccontare. Viviamo ogni giorno l’interculturalità”.

 Che cosa significa studiare la famiglia?
Leo: “E’ aprire la finestra e vedere all’orizzonte una realtà di cui la società ha bisogno. C’è bisogno di protagonisti, di animatori che facciano ricerca e che rendano il mondo a misura di famiglia”.
Luisa: “Oggi occuparsi di famiglia è una cosa controcorrente. Ma Cristo è sempre stato controcorrente! Quando diciamo che cosa studiamo tutti ci guardano in modo strano. Però sono curiosi e vogliono saperne di più: c’è tanto bisogno di approfondire questi argomenti. Ed è molto importante essere uniti e fare gruppo tra laici, con i sacerdoti e con le religiose”. 

Continuate ad accompagnare le coppie verso il matrimonio?
Luisa: “Sì, adesso stiamo seguendo una coppia di fidanzati in Colombia, a distanza!”

Come pensate che la Chiesa debba avvicinarsi alle coppie non sposate o a quelle omosessuali?
Leo: “Abbiamo accompagnato anche una coppia di conviventi, che non voleva sposarsi. Ma dopo un anno, senza alcuna forzatura, hanno deciso di farlo”.
Luisa: “Una persona a me molto cara è omosessuale. Ha una relazione stabile e ha condiviso con me il percorso di avvicinamento alla fede. Come Chiesa dobbiamo proporre una catechesi bella e creativa, non imporre una morale che si limita a spiegarti quello che puoi o non puoi fare. E’ l’incontro con Cristo che dobbiamo offrire: perché in Cristo tutto si fa nuovo”.

(da Avvenire di domenica 22 maggio 2022)