Tradizione: l’eredità che promuove

E’ dedicata al concetto di Tradizione la terza giornata di studio Amoris Laetitia, organizzata dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II in collaborazione con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita e la Diocesi di Roma, nel quinto anniversario della pubblicazione dell’esortazione apostolica.

Il convegno è in programma nell’auditorium “Carlo Caffarra” per martedì 5 aprile, dalle 9 alle 17 e vedrà la partecipazione, tra gli altri, di Donatella Scaiola, Leonardo Paris, Raffaella Iafrate, Andrea Dall’Asta e Pierpaolo Triani.

“I primi cinque anni di Amoris Laetitia hanno portato a temperatura “critica” l’idea di Tradizione” spiega Giovanni Cesare Pagazzi, direttore scientifico del convegno: “Secondo alcuni, il documento papale avrebbe adottato un modello di Tradizione intesa come approfondimento della fede. Secondo altri il modello che fa da sfondo ad alcune parti di Amoris Laetitia consisterebbe nella sostituzione”.

“Si cerca di arrivare all’idea di Tradizione  – continua Pagazzi – non partendo direttamente dalla discussione del vocabolo che rischia di essere polarizzato dal dibattito teologico; la strategia è quella di accostarla dalla prospettiva di due gesti umani con un forte approccio fenomenologico-pastorale: l’esperienza dell’eredità e la tensione polare tra memoria e dimenticanza”.

All’incontro si può partecipare in presenza (secondo la normativa vigente riguardo al possesso del Green Pass e prenotando tramite Evenbrite a questo link) e viene trasmesso in italiano, inglese e spagnolo sul canale youtube e il profilo facebook dell’Istituto Jp2.

LE IMMAGINI di Arnaldo Casali

RASSEGNA STAMPA

PROGRAMMA

Sessione mattutina

Moderatore
Giovanni Cesare Pagazzi, Istituto Jp2

9:00
Saluti istituzionali
Vincenzo Paglia, Gran Cancelliere Istituto Jp2

9:15
Introduzione
9.30
Il processo di ri-lettura e ri-scrittura nella Bibbia: l’eredità come premessa e promessa
Donatella Scaiola, Pontificia Università Urbaniana, Roma

10.00
Cristo, l’erede di tutte le cose. La forma tradizionale della verità cristiana
Leonardo Paris, ISSR “Romano Guardini”, Trento

10.30 – Pausa

11.00
Memoria e dimenticanza: polarità necessaria tra le generazioni, nella famiglia e nella società
Raffaella Iafrate, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

11.30
Il processo artistico come stile di Tradizione
Andrea Dall’Asta S.J., Direttore Galleria San Fedele, Milano

12.00 – Dibattito

Sessione pomeridiana

Moderatore
Juan José Perez-Soba, Istituto Jp2

15.00
La tradizione familiare in Amoris Laetitia. Un modello ecclesiologico?
Philippe Bordeyne, Preside dell’Istituto Jp2

15.30
Africa, America, Asia, Europa, Oceania: cinque sguardi sulle pratiche relative all’“età di mezzo”. Quali forme di tradizione, trasmissione ed eredità?
Stephan Kampowski, Istituto Jp2

16.00 – Pausa

16.30
L’età di mezzo: spunti ecclesiali a partire dalle pratiche
Pierpaolo Triani, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

16.45 – Dibattito

17.15 – Conclusioni
Pierangelo Sequeri, Direttore Cattedra Gaudium et spes, Istituto Jp2

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EREDITA’, MEMORIA E DIMENTICANZA, L’ETA’ DI MEZZO

Eredità. Il gesto di lasciare un’eredità e di ereditare è tra i più significativi della vicenda umana. Riguarda persone singole, famiglie, culture, stagioni della storia. Esprime un’alleanza tra le generazioni, la condensazione di un’intera vita, che viene consegnata ad altri, l’impegno di stimare il dono, senza sprecarlo. “L’eredità richiama sia la morte sia la potenzialità generativa. L’eredità allude anche alla sua faticosa condivisione. L’eredità può essere faticosa (troppo pesante, ereditare debiti, malattie “ereditarie”). Essa vive di un paradosso: la volontà di chi è morto continua ad essere attiva ed efficace in chi, vivo, eredita. È un fatto così importante e complesso da essere da sempre oggetto di sofisticati sistemi normativi, richiedenti differenti competenze professionali. Nonostante sia un fatto teologicamente poco studiato, la Rivelazione ricorre spesso all’“eredità” per indicare l’Alleanza tra Dio e Israele.

Memoria e dimenticanza. Noi siamo ciò che ricordiamo e ciò che dimentichiamo, chi ricordiamo e chi dimentichiamo. La lingua custodisce il fatto che memoria e dimenticanza non si limitino a operazioni esclusivamente mentali, come segnalato dai verbi “rammentare” e “dimenticare”, ma coinvolgano l’uomo intero, il suo cuore. Si dice infatti anche: “ricordare”, “scordare”, cioè “avere a cuore”, “cancellare dal cuore”. Il verbo “rimembrare”, inoltre, assegna alla memoria la capacità di “tenere assieme le membra” di una persona e di una comunità, quasi che la dimenticanza comportasse lo smembramento, la divisione e la dispersione delle parti di un corpo vivo.

“Generalmente, nella lunga vicenda umana, la memoria ha goduto una reputazione migliore rispetto alla dimenticanza che toglie e consuma quanto il ricordo tenta di custodire con cura. Eppure nessuna delle due è chiara e distinta. Entrambe hanno ombre e spigoli. Certo, senza memoria risultano impossibili la fedeltà e la gratitudine (nei legami, nelle famiglie, nelle culture e società). Tuttavia essa è anche la materia prima del rancore, del risentimento, della vendetta, di tutto quanto impedisce l’avvio di un processo di riconciliazione. Non solo: l’ossessione di “farsi ricordare” sembra la mossa maldestra per ottenere una “risurrezione fai da te”, un vano tentativo di vincere la morte. D’altro canto, se è vero che la dimenticanza è la radice dell’infedeltà, dell’ingratitudine e della superficialità, essa è pure lo spunto iniziale del perdono, come mostrano le lingue sassoni, dove il verbo “dimenticare” è parente stretto di “perdonare”. Se l’oblio non stende delicatamente il suo velo sulle offese ricevute, difficilmente si comincerà a perdonare. Inoltre “la dimenticanza di sé” conferisce ad ogni azione la leggerezza, l’eleganza, la grazia, quel “non so che” attraente e convincente.

L’età di mezzo: Da un punto di vista semplicemente quantitativo, gli adulti che maggiormente si (ri-)accostano alla comunità cristiana sono quelli che la interpellano in occasione dell’iniziazione cristiana dei loro figli. Sono uomini e donne che vivono nella cosiddetta età di mezzo, 35- 45/50 anni, o ormai prossimi a questa età. Si tratta di una stagione della vita dove (generalmente) si gode una certa sicurezza professionale e qualche solidità affettiva; anche se magari si tratta di una coppia “di seconde nozze”. È quindi il momento delle grandi conferme professionali e affettivo-relazionali, spesso anche legate alla nascita dei figli. Si tratta del periodo dove famiglia e società richiedono maggiore profusione di energie. Tuttavia, quella “di mezzo” è anche l’età in cui vengono erose  attese e sogni giovanili, quando si capisce che la  realtà nuda e cruda comincia a reclamare i suoi diritti, al di là di tutti i tentativi di negarli. È il tempo in cui fallimenti professionali ed affettivi si avvertono con maggiore dolore; la stagione in cui la morte entra prepotente nella vita, sia sotto forma di malattia propria e altrui (malanni mai provati prima, lentezza dei tempi di recupero dagli sforzi, malattie gravi…). È l’età in cui si assiste all’invecchiamento dei genitori, con il conseguente investimento di tempo che la situazione richiede. Nell’età di mezzo si sperimentano le perdite peggiori, come quella dei genitori, vale a dire di coloro che generando, dando casa, nutrendo si erano presi l’impegno di mostrare l’affidabilità della vita. Ritengo l’età di mezzo una grandissima occasione di annuncio e di buona articolazione pastorale, e di pastorale famigliare in special modo (è la stagione dove la questione dell’eredità, della memoria e dimenticanza acquistano spesso tonalità drammatiche che possono far soccombere o aprire varchi).