Messa di Natale, l’omelia del preside Philippe Bordeyne

Fratelli e sorelle,

Per meditare con voi il mistero del Natale, che ci siamo preparati ad accogliere insieme come “famiglia universitaria” dell’Istituto Giovanni Paolo II, mi sono ispirato a tre scritti.

Il primo è tratto da un libro di uno dei nostri docenti, il professor Pagazzi: “Un neonato dorme dalle 14 alle 17 ore al giorno. […] Così si è presentato al mondo il Figlio di Dio: ha cominciato a salvarci dormendo gran parte del tempo. Avrà pure qualcosa da dire di Cristo, della Grazia, il fatto che il Salvatore del mondo abbia vissuto almeno tre anni (i suoi primi!) passando gran tempo dormendo”. (Giovanni Cesare Pagazzi, In pace mi corico. Il sonno e la fede, San Paolo, 2021, p. 9).

Ho collegato questo primo testo con un secondo, tratto da una filosofa francese di origine belga, Luce Irigaray, il cui libro Amo a te ebbe una grande eco in Italia 30 anni fa: “Ascoltare l’altro, preservare per lui un tempo di silenzio, significa anche rispettare il suo soffio vitale. Soltanto la madre respira per il bambino. Dopo la nascita ciascuno(a) di noi deve, dovrebbe respirare per sé. […] È dunque importante meditare sul fatto che un linguaggio, una spiritualità o una religione fondati sulla parola, se non insistono sul silenzio e sul soffio vitale che li rendono possibili, rischiano di accompagnarsi a un non-rispetto della vita: propria, dell’altro, degli altri”. (Luce Irigaray, Amo a te. Verso una felicità nella Storia, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 124-125).

Leggerò il terzo testo un po’ più tardi.

L’Avvento è il tempo in cui Maria respira a favore di Gesù. Il Verbo ha già preso carne nel corpo di una donna, ma il soffio dell’essere umano non è ancora in lui. Invece, è già stato concepito dallo Spirito Santo, il soffio di Dio. Il Padre aspetterà il battesimo di Gesù da parte di Giovanni prima che la presenza dello Spirito Santo nel suo amato Figlio si manifesti pubblicamente.

Il tempo dell’Avvento è il tempo del silenzio del Figlio di Dio, già fatto uomo, ma totalmente dipendente dalla vita di una creatura umana, Maria. È il tempo del primo lungo sonno del bambino Gesù. Completamente abbandonato alla tenerezza di Maria, alla sua premura verso il bambino così fragile, così misterioso, che porta dentro di sé. Un bambino che è già così ingombrante. Gesticola, manifesta la sua presenza come farebbe qualsiasi bambino nel corpo di una donna incinta, accendendo nel suo cuore la meraviglia e l’ansia di una madre. Il Figlio di Dio si arrende totalmente all’attesa di Maria, alla sua fiducia in Dio. Si affida anche alla sollecitudine di Giuseppe, lo sposo di Maria, che guarda da un po’ più lontano, perché è un uomo e solo il padre putativo, ma anche lui prodiga il suo amore e la sua attesa attiva. Il bambino ha già trovato il suo posto nella vita quotidiana e nei piani di Maria e Giuseppe.

Tuttavia, in questo tempo di Avvento, la liturgia ci trasporta in anticipo verso Giovanni, nel deserto, che è un luogo di immensità, solitudine e silenzio, che è anche il luogo del soffio, dove Dio prepara il suo popolo a ricevere il Figlio. Nel testo di questo giovedì della terza settimana di Avvento, è già Gesù stesso che ci interroga sul nostro modo di ascoltare Giovanni, il più grande dei profeti, quello che Dio ha mandato per prepararci a riceverlo. In un certo senso, ognuno di noi nasce di nuovo durante questo periodo di Avvento. Siamo proiettati nel grembo di Maria, restiamo in silenzio, il nostro soffio non è più il nostro, ma sentiamo attraverso il corpo stesso di Maria le parole di Giovanni che ci invitano a prepararci. E come un’eco, sono già le parole del Verbo di Dio fatto carne che ci provocano e ci chiedono insistentemente cosa siamo venuti a fare nel deserto. “Fra i nati da donna, non vi è alcuno più grande di Giovanni; ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui”. Con queste parole, Gesù ci invita oggi a farci piccoli, a lasciarci rinascere dall’acqua e dallo spirito, a guardare la nostra vita battezzata con occhi nuovi, perché tutto comincia e ricomincia con il grande mistero dell’Incarnazione e della nostra salvezza. Don Marco Seminara verrà dopo la Santa Messa a raccontarci il significato di questo mistero del Natale attraverso l’affresco realizzato da Padre Marko Ivan Rupnik e dal Centro Aletti per la magnifica cappella del Seminario Romano che ci accoglie oggi.

Se il periodo di Avvento ci fa rinascere nel battesimo, come suggerisce la presenza di Giovanni Battista, è perché possiamo riscoprire il senso del silenzio e del soffio. Privato del respiro per un certo tempo, sarà per farne un uso migliore in seguito e per imparare di nuovo che ogni parola chiede silenzio, come suggerisce Luce Irigaray nel testo che ho voluto leggervi. Come la parola umana, la parola di Dio ha bisogno di silenzio e di soffio per dispiegarsi nella nostra vita. Questa fu la grande scoperta spirituale del Beato Charles de Foucauld (fratel Carlo di Gesù), che sarà canonizzato a Roma il 15 maggio. Alla ricerca della sua vera vocazione dopo la sua conversione, Carlo volle vivere una vita nascosta a Nazareth per diversi anni, per riprendere il cammino di annullamento di sé attraverso l’infanzia, la semplicità umana, il servizio e il silenzio, che fu quello del Figlio di Dio sulla nostra Terra. Poi è partito per i grandi spazi del Sahara, per accogliere la Parola nel silenzio del deserto e nel volto e nella cultura dei suoi fratelli Tuareg. Alla scuola di Gesù nascosto a Nazareth, ha scoperto la sua vocazione di “fratello universale”. È dunque da Charles de Foucauld che ho preso la terza citazione di questa omelia, un testo che ho scelto anche per le cartoline di Natale dell’Istituto quest’anno: “Man mano che Gesù cresceva, la saggezza e l’abbondanza delle grazie divine in lui diventavano sempre più manifeste, sempre più evidenti agli occhi, attraverso le sue azioni esteriori. Che sia lo stesso per noi. Che la grazia che abbiamo ricevuto nel battesimo appaia sempre più nelle nostre opere. Possa ogni giorno della nostra vita segnare un progresso nella saggezza e nella grazia”.

Fratelli e sorelle, il mistero del Natale ravvivi in noi la grazia del battesimo! Possa il tempo di Avvento trascorso con Maria e Giuseppe mentre aspettavano la nascita di Gesù far crescere in noi il desiderio di conformare la nostra vita a quella del Figlio unigenito! Possa l’Istituto Giovanni Paolo II maturare in saggezza e grazia durante l’anno 2022, affinché la nostra comunità accademica diventi sempre più una “famiglia universitaria” dove impariamo a vivere in fraternità, al di là delle differenze di età, sesso e cultura!