L’educazione? Né nera né bianca

di Milena Santerini

Dopo la “pedagogia nera” del passato, abbiamo creato e realizzato, in ambito familiare, una vera “pedagogia bianca”? Con l’espressione pedagogia nera indichiamo quell’educazione attraverso cui  i genitori e gli adulti esercitano un potere assoluto sui figli/e, modello che si traduce poi nel dominio dell’autorità sulla vita dei cittadini. L’educazione, in questa visione, è una forma di violenza, sottile o aperta, che si esprime in punizioni fisiche, o anche solo in ricatti psicologici, ma comunque come condizionamento. La pedagogia moderna, non da oggi, ha respinto questo modello autoritario, ma ha saputo sostituirlo veramente con un’educazione che non diventi -al contrario- iper-tollerante o indifferente? Dobbiamo ancora approfondire una pedagogia bianca di accompagnamento e amore rispettoso dei più piccoli e dei più giovani. Al controllo subentra spesso, piuttosto, l’astensione. L’ideale di libertà educativa ha sicuramente sciolto le nuove generazioni dai vincoli soffocanti e feroci del condizionamento adulto, ma ha anche creato una nuova solitudine. Scrive Michel Serres “Come atomi senza valenza, i ragazzi sono nudi. Noi adulti non abbiamo inventato nessun nuovo legame sociale. L’impresa generalizzata del sospetto, della critica e dell’indignazione ha contribuito piuttosto a distruggerli”.    Si è più liberi ma più soli.

La rinuncia a educare lascia le nuove generazioni, specie nei gruppi sociali più svantaggiati, dipendenti dalle influenze dei “cattivi maestri”. La soluzione non è certamente rimpiangere la pedagogia nera, come fanno – magari senza ammetterlo neanche a se stessi – tanti nostalgici della tradizione. La strada ormai è obbligata. Nessuno vuole tornare al passato, al padre-padrone, alla madre sottomessa e ai figli/figlie come proprietà familiare, rinunciando  alla centralità dell’autoconsapevolezza, alla libertà di scelta, di movimento, di autonomia e di affiliazione del singolo individuo che costituisce un tesoro irrinunciabile. D’altronde, sarebbe illusorio credere di poter ritrovare una relazione di fiducia e rispetto verso la cultura trasmessa dai “maestri” attraverso la restaurazione (autoritaria) dell’autorità perduta.

La singolarità ha riflessi anche sull’educazione del bambino, divenuto, secondo la felice espressione di Marcel Gauchet, un “figlio del desiderio”. Le trasformazioni di una società occidentale sempre più urbanizzata, industrializzata e tecnologica sono accompagnate da un forte calo demografico, soprattutto nel nostro paese. Diminuzione delle nascite e invecchiamento della popolazione portano a un’idea di bambino/a (spesso solo/a) su cui si concentrano ansie e attenzioni dei genitori. La popolazione vede oggi anche un allungamento della durata della vita, esistenza che si svolgerà come una storia personale e soggettiva, sempre meno sottomessa ai vincoli delle autorità tradizionali. Tutto ciò rende contraddittorio – se non impossibile – il compito educativo; il bambino/a, infatti, deve realizzare se stesso in una “individualizzazione radicale” e “prepararsi ad autodeterminarsi” nella società. E’ evidente la differenza con l’educazione dei secoli precedenti, orientata alla costruzione finalizzata di un avvenire collettivo.  

Rimane solo la strada della fiducia e della responsabilità, ma come praticarla? Le famiglie sono in affanno, tra bambini-re, adolescenti, ragazzi e ragazze, devoti agli smartphone e doppi ruoli femminili. L’emotivismo contemporaneo pone in primo piano le emozioni, i sentimenti, l’espressione della creatività individuale. La famiglia si trova, quindi, a dover educare tra due istanze diverse ma non inconciliabili: la razionalità responsabile e controllata da un lato e, dall’altro, l’enorme importanza assunta dalle emozioni e dalle pulsioni.

La pedagogia della famiglia dell’Istituto Giovanni Paolo II presenta un’offerta di riflessione e discussione intorno a questa sfide, sulla base dei contributi delle scienze contemporanee, delle neuroscienze “affettive”, dell’antropologia, la sociologia, la psicologia. Ci si interroga su come educare conoscendo la mente infantile e quella dell’adolescente, e come matura il cervello nella vita tra pari. Il web, nuovo mondo dove siamo immersi, è anche l’ambiente che plasma il nostro pensiero: come viverci senza essere sopraffatti? Come la famiglia può dare una nuova educazione morale, basata sull’empatia e l’interiorizzazione dei significati, anziché sull’imposizione delle regole? La riflessione pedagogica aiuta insomma a far diventare concreta un’educazione “bianca” adatta ai contesti culturali del nostro tempo.

La parte dedicata all’analisi sarebbe però insufficiente senza un orizzonte di senso da dare all’educazione familiare. Alla frammentazione e alla solitudine si può rispondere solo con il dialogo, la comprensione dei significati, la trasmissione di senso, senza rinunciare ad iscrivere la relazione educativa in un orizzonte che è quello del destino comune dell’umanità, alla ricerca di un “nuovo” universalismo che connetta individui troppo soli.

Siamo alla ricerca, insomma, di una sintesi tra il radicamento nel particolare e l’apertura all’universale. La “nuova educazione” è quella che forma alla fraternità universale, nello spirito della Fratelli tutti di papa Francesco. Secondo Bergoglio l’azione educativa – come comunicazione di senso della vita tra persone, che restituisca nuovi legami sociali non segnati dalla violenza né dall’indifferenza – è sempre un fatto di popolo che spinge all’integrazione sociale della comunità.

  • Docente di pedagogia Università cattolica e Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II.