Il vuoto «disponibile» che ci sta aspettando

di Pierangelo Sequeri

Oltre la mascherina, guardo la piazza, oggi. La piazza, normalmente, è brulicante, convulsa, piena di movimento di macchine e di umani, che si muovono a tutte le velocità. Piena di suoni indistinti e di flussi indecifrabili. Le nostre piazze ora sono spente. Ed ecco la mia sorpresa: quando guardo la piazza, oggi, dopo il primo smarrimento, non vedo più la desolazione, come i primi giorni. Vedo semplicemente e quietamente un vuoto disponibile: il vuoto di un tempo sospeso, ripulito dell’abituale e caotico affollamento, ma come in attesa di essere riempito in un modo nuovo.

Un vuoto di attesa. Un’attesa vergine: che sconfina, quasi, con una promessa. Come se, incongruamente e improvvisamente, mi apparisse in nostro potere la fantasia di poter abitare la piazza come un simbolo di comunità più visibile, di cittadinanza migliore. La piazza è anche un nodo sensibile per il vissuto del popolo delle città, lo sappiamo. Il raduno in piazza è un luogo sintomatico dello stato della cittadinanza, o di determinate parti di essa: specchio dei suoi umori, delle sue invocazioni, delle sue pulsioni. Talora ‘ci prende’, la piazza, liberando il riconoscimento di energie giuste e vitali.

Ma accade pure che ‘non ci prenda’ per niente. Oggi è la Domenica delle Palme, che ci introduce ai giorni della Passione. La folla di cui parlano i Vangeli occupa la piazza due volte. Una prima volta si addensa intorno a Gesù, che fa il suo ingresso in Gerusalemme, in sella a un asinello, inneggiando di entusiasmo: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Matteo 21, 1-9). Una seconda volta, nel giro di pochissimi giorni, la folla radunata davanti al palazzo del governatore Ponzio Pilato lo consegna al sacrificio: «E tutto il popolo rispose: ‘Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli’» (Mt 27, 25). Gesù li aveva guariti e risuscitati, i loro figli. Dovremo avere più cura della piazza, nella città. Delle forme con le quali la frequentiamo, delle forze che essa attrae. Dobbiamo esercitarci in un uso migliore delle sue libertà, per essere pronti a trarne energie buone per la comunità.

Forse, dovremo dedicare più impegno alla ‘punteggiatura’ quotidiana della piazza, predisponendo ‘normalmente’ momenti di sosta incantata, che creano piccoli punti felici di magnetismo spirituale. Ricordate le domeniche senza auto? Passeggiavamo per le piazze senza macchine con i bambini, che erano quasi bambini di tutti. E parlavamo con tutti. (I bambini fanno la differenza, nella punteggiatura dei tempi e dei luoghi della città: è un caso che le nostre città siano così ostili ai bambini?) In molte città, i giovani organizzano da tempo improvvisi ed emozionanti flash-mob, dove l’anonimato della folla lascia filtrare poco a poco orchestrali e coristi che infine compongono un’emozionante esecuzione dell’Inno alla Gioia, o l’incanto coreografico di un elegante tango collettivo.

Eventi semplici e in controtendenza con le velocità e gli urti delle particelle impazzite. Eventi che creano punteggiature nella piazza, appunto restituendola al ‘discorso’ umano: la ricompongono con l’interiorità delle persone, le iniettano dolcemente in incanto spirituale, la sottraggono all’eccitazione del formicaio: industrioso, ma anche dispersivo e ossessivo. Dopo l’emergenza, la programmerei – i comuni, le parrocchie, le scuole! – questa punteggiatura spirituale della piazza: che crea a sorpresa angoli di bellezza e di unione spirituale degli umani. Ci farei vivere le piazze, normalmente, quando le riempiremo di nuovo.