Messa di Natale, l’omelia del preside Philippe Bordeyne

Isaia 54, 1-10
Luca 7, 24-30


Cari amici,

La nostra assemblea dimostra che siamo molto diversi per età, esperienza, paese d’origine, cultura. Ma abbiamo in comune il battesimo. Condividiamo inoltre la stessa passione per il servizio teologico del matrimonio e della famiglia. Naturalmente, ci possono essere differenze di approccio e di sensibilità tra di noi, ma abbiamo in comune il fatto di trarre energia e ispirazione dalla Parola di Dio. Oggi, riuniti nell’Eucaristia per accogliere il mistero del Natale come Istituto, esaminiamo la Scrittura, cercando i modi in cui essa si rivolge alle realtà familiari e a come esse sono chiamate a partecipare all’autorivelazione di Dio.

“Esulta, o sterile che non hai partorito”.

Annunciando la venuta del Salvatore, il profeta Isaia inizia facendo riferimento a una delle sofferenze più intime delle donne e delle coppie della terra: il fatto di non aver potuto generare figli a causa della sterilità. Così facendo, la Parola di Dio ci invita a non dimenticare, quando riflettiamo sul matrimonio e sulla famiglia, che le relazioni affettive, abitate dal nostro desiderio di felicità, sono anche luoghi di grande sofferenza. Come mi ha detto recentemente il vescovo di Mandya, in India, che è venuto a incontrarmi all’Istituto: “La sessualità è piena di dolore: gravidanze che si aspettano e non arrivano, quelle che arrivano senza essere aspettate, ma anche le difficoltà di comunicazione all’interno delle coppie, tra le tre o quattro generazioni che vivono sotto lo stesso tetto.”

Mons. Sebastian Adayanthrath ha aggiunto che sempre più persone arrivano nella grande metropoli di Bangalore, dove accoglie molte famiglie di immigrati dal Kerala e da altre parti dell’India e del mondo, per cercare aiuto e sostegno dalle comunità cristiane nella loro vita coniugale e familiare. Per questo è necessario immaginare parrocchie più accoglienti per le famiglie, con le loro gioie e i loro dolori, le loro speranze e le loro ansie. La Parola di Dio, nella sua sensibilità per la complessità delle realtà familiari, ci impedisce di idealizzarle. Così facendo, ci mette in cammino e ci stimola.

È importante non idealizzare le realtà familiari per due motivi: in primo luogo, perché la nostra ricerca teologica possa contribuire alla missione della Chiesa di accompagnare le persone in tutte le situazioni familiari, soprattutto quando sono ferite e complicate, come ci chiede Papa Francesco nel motu proprio Summa familiae cura del 2017. Ma è importante soprattutto dal punto di vista della verità della fede cristiana: non possiamo abbandonare queste ambivalenti realtà umane e familiari, perché è proprio li che Dio ha scelto di dare i segni della misteriosa venuta di suo Figlio nel mondo.

Esulta, o sterile che non hai partorito,
prorompi in grida di giubilo e di gioia,
tu che non hai provato i dolori,
perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata
che i figli della maritata, dice il Signore.

Avrete notato che il testo di Isaia, nella lettura di oggi, contiene anche una parola che è al centro del cammino sinodale della Chiesa: “Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti”.

Nel documento di sintesi preparato per la fase continentale del cammino sinodale, questo passo del profeta Isaia è stato una chiave di lettura delle sintesi nazionali, per discernere l’azione di Dio nel cuore dei battezzati che hanno partecipato al cammino sinodale. Il gruppo di teologi di Frascati, a cui ho partecipato lo scorso settembre, ha percepito alla luce di questo testo di Isaia l’atteggiamento profondo che anima il popolo di Dio in tutto il mondo. Nella forza dello Spirito Santo, egli si riconosce come portatore dell’immensa gioia della Buona Novella di Gesù Cristo, venuto sulla nostra terra per rivelare il volto di Dio attraverso il suo ministero pubblico e persino nella sua vita donata sulla croce. Il Popolo di Dio dichiara oggi di essere pronto ad allargare lo spazio della sua tenda per accogliere tutti, per fare della Chiesa uno spazio missionario aperto a tutti, per essere più attento a chi non conosce ancora il Signore, a chi non trova facilmente il suo posto nelle comunità cristiane, per vivere in fraternità con chi crede in Dio in altre religioni. Soprattutto in questi tempi, essere più accoglienti nei confronti dei migranti, delle famiglie separate dalla guerra, in Ucraina o in Medio Oriente.

Fratelli e sorelle, poteva l’Istituto Giovanni Paolo II rimanere ai margini di questa dinamica complessiva del popolo di Dio? La nostra comunità internazionale è ricca di un enorme potenziale di discernimento e di iniziative per vivere in armonia con la speranza evangelica del popolo di Dio. Che le celebrazioni natalizie siano un’occasione per essere più in sintonia con il cammino sinodale su cui Papa Francesco ha impegnato la Chiesa.

Cari studenti, è un’immensa opportunità per ciascuno di voi studiare la teologia della famiglia in questa fase di rinnovamento della Chiesa in missione che si chiama “cammino sinodale”. Mettiamo tutte le nostre forze intellettuali e spirituali per immaginare insieme, qui a Roma, attraverso il nostro lavoro teologico, una Chiesa più fraterna, più accogliente nei confronti delle realtà familiari che si presentano in tutte le nostre Chiese locali, in Africa, in America Latina e del Nord, in Asia, in Europa. Si tratta semplicemente di contribuire a costruire “una Chiesa a misura di famiglia” – “a family friendly Church” – per riprendere il sogno che il vescovo monsignor Sebastian mi ha affidato.

Concludo con un breve commento sul Vangelo di oggi. Gesù si rivolge alla folla: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto?”. Questa parola, crediamo, è per noi oggi: “Che cosa siamo venuti a cercare in questa chiesa, in questo magnifico battistero che ricorda il battesimo di Giovanni che Gesù ha ricevuto, ma anche il battesimo nello Spirito Santo che tante generazioni hanno ricevuto nel nome di Gesù, in tutto il mondo?

Questa domanda di Gesù ci ricorda che Natale è un kairos per la nostra fede. Anche quest’anno dobbiamo decidere dal profondo del cuore e con tutta l’energia vitale che abbiamo ricevuto: crediamo che Dio abbia mandato il suo unico Figlio per salvare il mondo? Solo la fede in Gesù Cristo può farci riconoscere in Giovanni Battista “il più grande dei nati da donna”. Notiamo ancora una volta che l’annuncio della venuta del Salvatore fa appello a una realtà familiare che ci riguarda tutti: siamo tutti nati da una donna! E per salvare il mondo, il Verbo di Dio ha preso la stessa strada, si è fatto carne, è nato da una donna, la Vergine Maria. Il mistero di Natale ci riconduce al mistero della nostra nascita, al primo grido che abbiamo dovuto emettere per ricevere il soffio della vita e vivere in questo mondo.

Il mistero di Natale riguarda anche il mistero della nostra nuova nascita attraverso il battesimo, che Gesù è venuto a istituire nel mondo per costituire un popolo di discepoli. Così, Giovanni Battista è il più grande, ma se accettiamo di farci piccoli come lui, se accettiamo di riconoscere che abbiamo bisogno di Gesù nella nostra fragilità umana, allora assumiamo la condizione dei ” più piccoli nel regno di Dio”, allora prendiamo il nostro posto nel popolo di Dio.

Il Natale è la grande festa in cui, ogni anno, ci troviamo insieme davanti alla culla per ricominciare il grande cammino di fede nella Chiesa. Benediciamo Dio con la gioia di trovarci questa mattina in una comunità internazionale di fratelli e sorelle che ci danno un assaggio di questo popolo di Dio in miniatura!

La comunità Accademica dell’Istituto augura un Santo Natale e implora dal Signore il dono della pace

«In questa terra desolata, il Signore si impegna a rigenerare e a far germogliare la speranza: “Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is. 43, 19)»  (Papa Francesco, Un piano per risorgere)