La preghiera cristiana nel cammino spirituale familiare

di Maurizio Chiodi

La preghiera in famiglia è momento essenziale, costitutivo, anche se non unico, della ‘spiritualità familiare’. Non è l’unico perché la vita spirituale, che è la vita ‘secondo lo Spirito’, riguarda tutti gli ambiti dell’esistenza, nessuno escluso. La fede è molto più che preghiera, proprio perché la coscienza cristiana o è integrale o non è. La fede è pratica, stile di vita e di relazioni con gli altri, nella famiglia e fuori di essa. È ascolto, dialogo, condivisione. È amore (agape), e cioè stile di prossimità, riconoscimento dell’alleanza che lega tra loro gli umani.

In questo quadro generale, la fede implica anche riti, gesti, parole, nella quali la fede della comunità si costituisce, si attua e si esprime. Nelle sue varie forme, la preghiera è dunque un elemento costitutivo della fede. Essa non è un optional per la vita, ma è un elemento imprescindibile e, come tale, non può mancare. Sarà su questo aspetto che ci soffermeremo in queste nostre riflessioni: la preghiera come forma – non unica! – della fede.

I genitori, sia personalmente, sia in coppia, sia con i figli, sono chiamati a vivere la preghiera e la fede: il legame tra queste è strettissimo. La famiglia, che ovviamente non è mai separata dal più ampio contesto della società civile e delle relazioni in esso inscritte, è certamente, e non solo in senso cronologico, il primo luogo del cammino spirituale, della testimonianza e poi anche dell’educazione alla fede, e alla preghiera, nei confronti dei figli.

È nella concreta relazione con chi l’ha generato, adottato e accolto che il piccolo apprende la ‘grammatica’ del linguaggio della vita buona: è la promessa che sta all’origine del vivere. Un aspetto importante, e addirittura decisivo, del compito educativo è la crescita nella fede, l’educazione della coscienza credente. Certo, per un certo verso si deve riconoscere che alla fede non si può educare, perché essa rimane un atto di adesione libera alla gratuita e universale rivelazione di Dio ma, per altro verso, si deve anche dire che alla fede si educa. Questo è dunque un compito a cui non ci si può sottrarre.

Quando si parla di educazione alla fede, si intende molto di più che un semplice apprendimento di ‘verità di fede’. La fede infatti non è riducibile a una questione teorica. Essa è sempre incarnata e ha dunque un profilo pratico: essa è un compito che riguarda da vicino la libertà. Tra fede e azione è impossibile scindere: la fede nel vangelo di Gesù annuncia il compimento di un senso inscritto nella vita stessa, il compimento di una promessa per la quale vale la pena spendere la vita. Del resto l’annuncio del vangelo, fin da subito, ha provocato in coloro che lo ascoltavano la domanda: «che cosa dobbiamo fare?» (Atti 2, 37). Negli Atti degli Apostoli questa è la risposta di coloro che hanno udito il primo annuncio di Pietro alla folla, nel giorno di Pentecoste.

È evidente che le eventuali difficoltà dell’educazione alla fede nei confronti dei nostri ragazzi, nelle nostre comunità, sono legate ai problemi più complessivi della comunità cristiana: una comunità poco adulta o poco istruita e scarsamente coinvolta nella testimonianza della fede, si troverà ancor più in difficoltà nell’educare alla fede.

In questo contesto comunitario il primo soggetto dell’educazione della coscienza credente rimane sempre la famiglia, anche se si deve sottolineare che essa non può essere separata dall’ambito più ampio della comunità cristiana e contemporaneamente che quest’ultima non può sostituirsi o supplire alle carenze e al vuoto della famiglia. Anzi, può diventare un serio problema la eventuale forte differenza – oltre che tra scuola e famiglia – tra comunità credente e famiglia. Questo contrasto tra famiglia e comunità credente rischia di aumentare la frattura tra il momento sacramentale e il momento morale, più legato all’esperienza quotidiana.

In famiglia, l’educazione alla fede si attua anzitutto, ma non solo, iniziando i bambini ai gesti e alle parole “religiose”: il segno della croce, le piccole preghiere, il richiamo alla presenza di Dio, i racconti del Vangelo di Gesù e poi di tutta la Bibbia, una piccola visita in chiesa, la valorizzazione dei ‘tempi forti’, ecc. Tutto questo è necessario, ma la famiglia educa alla fede, prima ancora di assumere iniziative deliberate a questo scopo, proponendo il suo proprio stile di vita e di relazioni.

L’educazione della coscienza credente, nel bambino, implica soprattutto che gli si offrano esperienze di buone relazioni umane: di ascolto, di condivisione, di perdono, di collaborazione, di dedizione reciproca. Per i genitori non si tratta dunque solo di trasmettere qualche gesto, ma di offrire la propria testimonianza, mettendo in gioco se stessi. Sarà questo il modo migliore in cui essi indicheranno ai propri figli la strada per una scelta liberante e ricca di senso.

Sullo sfondo di questo più complessivo cammino spirituale, ci concentreremo nella nostra riflessione sulle diverse – ma inscindibilmente legate – forme della preghiera cristiana: la preghiera ecclesiale e comunitaria, la preghiera della coppia, la preghiera della famiglia, con i figli, e infine la preghiera personale.

(contributo proposto nel corso di un incontro di spiritualità dedicato alle famiglie dell’Associazione “La Pietra scartata” e del movimento Ai.Bi. Amici dei Bambini e ripreso nel fascicolo n. 12 della rivista semestrale “Lemà sabactàni? – contributi per una cultura dell’accoglienza”)