Il preside Bordeyne incontra papa Francesco

Il preside Philippe Bordeyne ha incontrato papa Francesco lunedì 27 settembre, in occasione dell’udienza ai partecipanti all’assemblea della Pontificia Accademia per la vita, che ha avuto quest’anno per titolo Public Health in global perspective. 

Bordeyne, che in qualità di preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II è membro di diritto dell’Accademia, era affiancato dal suo predecessore Pierangelo Sequeri e dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, Gran Cancelliere del Jp2 e presidente dell’Accademia.

Nel corso del suo intervento papa Francesco, parlando anche a braccio, si è soffermato a lungo sulle tematiche riguardanti la famiglia, ma anche sul dramma della pandemia: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla. E da una crisi sappiamo che non si esce uguali: o usciremo migliori, o usciremo peggiori. Ma uguali no”.

“La crisi pandemica – ha continuato – ha messo in luce quanto è profonda l’interdipendenza sia tra di noi sia tra la famiglia umana e la casa comune. Le nostre società, soprattutto in Occidente, hanno avuto tendenza a dimenticare questa interconnessione. E le amare conseguenze sono sotto i nostri occhi. In questo passaggio d’epoca è dunque urgente invertire tale tendenza nociva, ed è possibile farlo mediante la sinergia tra diverse discipline”.

Il Papa ha invitato anche a prestare lo sguardo ai paesi del sud del mondo. “Pensiamo all’impatto devastante di certe malattie come la malaria e la tubercolosi: la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie procura nel mondo ogni anno milioni di morti evitabili. Se compariamo questa realtà con la preoccupazione che la pandemia di Covid-19 ha provocato, vediamo come la percezione della gravità del problema e la corrispondente mobilitazione di energie e di risorse sia molto diversa. Certo, facciamo bene a prendere tutte le misure per arginare e sconfiggere il Covid-19 sul piano globale, ma questa congiuntura storica in cui veniamo minacciati da vicino nella nostra salute dovrebbe farci attenti a ciò che significa essere vulnerabili e vivere quotidianamente nella precarietà. Potremo così renderci responsabili anche di quelle gravi condizioni in cui vivono altri e di cui finora ci siamo poco o per nulla interessati”.

“Impareremo così – ha aggiunto il pontefice – a non proiettare le nostre priorità su popolazioni che abitano in altri continenti, dove altre necessità risultano più urgenti; dove, ad esempio, mancano non solo i vaccini, ma l’acqua potabile e il pane quotidiano. Fa non so se ridere o piangere, a volte piangere, quando sentiamo governanti o responsabili di comunità che consigliano agli abitanti delle baraccopoli di igienizzarsi parecchie volte al giorno con acqua e sapone. Ma, caro, tu non sei stato mai in una baraccopoli: lì non c’è l’acqua, non conoscono il sapone. “No, non uscire di casa!”: ma lì la casa è il quartiere tutto, perché vivono… Per favore, prendiamoci cura di queste realtà, anche quando riflettiamo della salute. Ben venga, dunque, l’impegno per un’equa e universale distribuzione dei vaccini – questo è importante –, ma tenendo conto del campo più vasto in cui si esigono gli stessi criteri di giustizia, per i bisogni di salute e promozione della vita”.

“Siamo vittime di una cultura dello scarto. C’è lo scarto dei bambini che non vogliamo accogliere, con quella legge dell’aborto che li manda al mittente e li uccide direttamente. E oggi questo è diventato un modo “normale”, un’abitudine che è bruttissima, è proprio un omicidio, e per capirlo bene forse ci aiuta fare una doppia domanda: è giusto eliminare, fare fuori una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Questo è l’aborto. E poi, dall’altra parte, gli anziani: gli anziani che pure sono un po’ “materiale di scarto”, perché non servono… Ma sono la saggezza, sono le radici di saggezza della nostra civiltà, e questa civiltà li scarta! Sì, in tante parti c’è anche la legge dell’eutanasia “nascosta”, come la chiamo io: è quella che fa dire: “le medicine sono care, se ne dà la metà soltanto”; e questo significa accorciare la vita degli anziani. Con questo noi rinneghiamo la speranza: la speranza dei bimbi che ci portano la vita che ci fa andare avanti, e la speranza che è nelle radici che ci danno gli anziani.

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