Il Vangelo sul pianerottolo

di Andrea Ciucci

Il brutale e doloroso cambio di passo imposto dalla pandemia al vissuto ordinario delle comunità cristiane può essere visto, con il pudore di chi anzitutto si trova ad asciugare molto lacrime, come una grande occasione che non può essere assolutamente sprecata. Chi infatti, dopo il comprensibile smarrimento delle prime settimane, non si è lasciato bloccare dal nefasto ritornello “non si può fare niente” ma ha provato a cercare forme evangeliche per vivere questo tempo disgraziato, ha potuto sperimentare una fecondità imprevista e intensa, seppur certamente dolorosa e faticosa. Per chi sta assumendo questa sfida, il Covid costituisce, di fatto, uno dei più grandi laboratori pastorali dai tempi dell’applicazione del Concilio.

Tra i diversi esercizi pastorali generati dalla pandemia, meritano di essere segnalati almeno due dinamismi, solo apparentemente contraddittori ed entrambi sviluppatisi particolarmente in chiave familiare: la custodia dell’essenziale dell’esperienza cristiana e uno sguardo più ampio e articolato della vita ecclesiale.

A ben vedere, tranne che per la grave sospensione della celebrazione eucaristica domenicale e del Triduo pasquale durante il lockdown della primavera 2020, le restrizioni imposte dalla pandemia non hanno impedito la vita cristiana, personale e comunitaria, bensì il suo svolgersi nelle forme cui siamo abituati, certo frutto di una sapienza e di una passione per l’Evangelo che costituisce la ricchezza della nostra Chiesa e che nessuno vuole cancellare. Se, ad esempio, sono state impossibili manifestazioni con grande partecipazione di persone, questo non vuol dire che non si sia potuto vivere intensamente, in forme numericamente ridotte, la fraternità tra i discepoli del Signore; allo stesso modo, il fatto che molte attività connesse alla trasmissione della fede alle giovani generazioni (ad esempio il catechismo, gli oratori e le attività associazionistiche giovanili) abbiamo dovuto essere molto limitate o trasformate, non significa che non sia stato possibile annunciare il Vangelo ai piccoli e introdurli alla vita comunitaria. Chiunque, infine, conosce la vita delle parrocchie e delle associazioni può testimoniare come, durante in questi mesi, non solo non si è mai fermata l’attenzione per i poveri, ma all’aumentare delle richieste di persone in difficoltà sono aumentate le disponibilità personali a compiere servizi e le offerte economiche. Il laboratorio pastorale imposto dal Covid, chiedendo alle comunità cristiane di andare all’essenziale, ha obbligato a ripensare le forme concrete e a custodire i fondamentali della vita cristiana.

Nel tentativo di trovare forme possibili per non venire meno a questo essenziale, anche in contesti di obbligate restrizioni della vita sociale, non poche comunità cristiane hanno riscoperto e promosso la dimensione familiare dell’ascolto della Parola, delle relazioni fraterne, dell’attenzione ai poveri, della qualità evangelica delle scelte quotidiane; anche della celebrazione eucaristica domenicale malgrado il non del tutto soddisfacente utilizzo delle piattaforme online. In tempi di Covid l’essenziale ha avuto spesso una forma familiare, confermata in chi già la viveva, scoperta o riscoperta in tante famiglie che sono state aiutate e provocate a vivere con intensità questo momento doloroso, grazie non a una sospensione della cura pastorale (il deleterio “non si può fare niente”) ma a una sua riconfigurazione, forse più sobria e meno strutturata, ma non per questo meno evangelica e vera, talvolta sorprendente e da non perdere nel ritorno alla normalità.

La dimensione familiare di molti gesti della fede ha imposto così il secondo dinamismo che caratterizza questo laboratorio: l’attitudine, talvolta tutta da guadagnare, a percepire che la vita di una comunità cristiana va ben oltre i locali parrocchiali e i calendari comunitari. Il Vangelo si trasmette in casa e sul pianerottolo, la comunione si costruisce anche fuori dalla scuola o tra vicini di casa, uno sguardo credente sulla realtà matura durante la dolente quotidiana lista dei defunti proclamata in televisione. Niente di più di quello che Papa Francesco scrive nel numero 290 di Amoris Laetitia: “La famiglia si costituisce così come soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo e l’eredità di molteplici forme di testimonianza: la solidarietà verso i poveri, l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, la solidarietà morale e materiale verso le altre famiglie soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la promozione del bene comune anche mediante la trasformazione delle strutture sociali ingiuste, a partire dal territorio nel quale essa vive, praticando le opere di misericordia corporale e spirituale.” Nessuna delle attività indicate dal Papa si svolgono ordinariamente in parrocchia ed esplicitamente è citato solo il territorio in cui una famiglia vive.

Attraverso il duplice dinamismo in chiave familiare della custodia dell’essenziale e dell’allargamento dello sguardo sulla vita cristiana, il laboratorio pastorale generato dal Covid offre così il suo frutto più maturo: la necessità di riformulare il rapporto tra parrocchie e famiglie, spesso dibattuto nella riflessione pastorale, a partire dalla dizione stessa. Se infatti la comunità parrocchiale è costituita per lo più da famiglie, a cosa si allude quando si riflette sul rapporto tra parrocchia e famiglie? Tale formulazione non denuncia una visione clericale (che non è dei soli pastori, ma anche di non pochi che animano la vita parrocchiale) ed esclusiva della parrocchia? La riscoperta del ministero specifico degli sposi e del protagonismo ecclesiale delle famiglie aiutano a riconoscere la sovrabbondanza dei confini del Regno di Dio e una vitalità delle comunità cristiane più ampia delle iniziative parrocchiali. Decisamente due buone notizie in questo tempo così difficile e così fecondo.

 

  • docente di pastorale familiare 

(da Avvenire di domenica 30 maggio 2021)