Sperimentare la pienezza di novità promessa all’uomo nuovo
di Gilfredo Marengo
«L’esperienza dell’amore rettamente inteso rimane una porta di accesso, semplice ed universale, attraverso la quale ogni uomo è chiamato a prendere coscienza dei fattori costitutivi della propria umanità: ragione, affezione, libertà. Dall’interno dell’insopprimibile interrogativo sul significato della sua persona, soprattutto muovendo dal principio del suo essere creato ad immagine di Dio, maschio e femmina, il credente può riconoscere il mistero del Volto trinitario di Dio, che lo crea ponendo in lui il sigillo della sua realtà di amore e comunione»
(Giovanni Paolo II, Discorso ai docenti e studenti del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, 31 maggio 2001).
Con queste parole, pronunciate nel ventennale della fondazione del nostro Istituto, Giovanni Paolo II esprimeva sinteticamente i tratti più originali del suo poderoso investimento sui temi del matrimonio e della famiglia, sigillo indelebile del suo pontificato.
Nel centenario della nascita di Karol Wojtyła, facendo seguito alla rifondazione voluta da Papa Francesco (2017), l’Istituto è orgoglioso di onorare «la lungimirante intuizione di San Giovanni Paolo II, che ha fortemente voluto questa istituzione accademica» (Summa familiae cura), offrendo un rinnovato impianto della sua proposta. (…)
Le dinamiche dell’affettività vanno considerate come parti integranti del profilo dell’atto di fede: prescindere da esse, infatti, produce uno sguardo parziale al soggetto di tale atto e, contemporaneamente, corre il pericolo di velare il volto agapico dell’agire salvifico del Dio a cui la fede si rivolge.
In questa prospettiva si pongono le condizioni per sciogliere una polarità che, da sempre, ha complicato i modi con cui la riflessione ecclesiale si è fatta carico del matrimonio e della famiglia: l’articolazione tra umano e cristiano o, secondo il linguaggio della scuola, tra naturale e soprannaturale.
L’operatività di un tale impianto ha prodotto, nel lungo periodo, l’impaccio a elaborare una convincente teologia del sacramento del matrimonio che, almeno fino alla stagione del Vaticano II, è stata ampiamente deficitaria. Essa è stata dominata dall’inseparabilità tra contratto e sacramento coniugata con la cosiddetta elevazione del patto matrimoniale tra battezzati alla dignità di sacramento.
Non è casuale che in questo ambito sia stato del tutto ignorato il posto dell’esperienza dell’amore nella relazione coniugale che si affaccia per la prima volta proprio in Gaudium et spes, nella cui scia si è poi collocato il magistero di Giovanni Paolo II.
Nello stesso tempo è rimasto operante un profilo riflessivo in perfetta continuità con il modello tradizionale per il quale l’appello alla legge naturale, comunque presentata e compresa, rimaneva il passaggio obbligato per ogni intervento sulla morale coniugale e familiare.
Queste difficoltà mettono in evidenza la necessità di una rinnovata riflessione antropologica: per essere veramente “adeguata”, essa va collocata in una circolarità virtuosa con la cristologia e l’ecclesiologia. (…) In buona sostanza si pone l’esigenza di fare in modo che il richiamo al “principio” non venga messo in campo solamente per evocare un archetipo originario, funzionale solamente a legittimare l’universalità di quanto la chiesa insegna, richiamandone il fondamento nella rivelazione biblica.
Occorre, piuttosto, mostrare come nella vita dell’uomo giustificato in Cristo si compie in pienezza l’ordine umano degli affetti. Dal momento che essi sono un ambito così decisivo per l’esistenza di ogni uomo e donna, l’agire grazioso di Dio è molto di più di un adiutorium dato per mantenersi fedeli ad alcuni paradigmi etici, ma è uno dei modi con cui diventa possibile sperimentare la pienezza di novità promessa all’uomo nuovo, configurato a Cristo.
La tradizione cristiana attesta, fin dai primi secoli, la singolare novità della verginità, riconosciuta e proposta come perfetta immedesimazione alla forma di vita di Gesù Cristo e a come egli ha vissuto la sua affettività.
Nonostante il paradigma paolino della relazione sponsale tra Cristo e la Chiesa, è doveroso riconoscere che non sempre la cura del matrimonio e della famiglia ne ha sviluppato tutte le potenzialità. Ha fatto velo a questo indirizzo l’impaccio a misurarsi in maniera equilibrata con la singolare polarità attestata dalla distinzione sessuale. (…)
Condividendo queste preoccupazioni la riflessione e la prassi ecclesiali hanno investito soprattutto nel tracciare un perimetro al cui interno collocare l’indiscussa positività della relazione sponsale e un puntuale disciplinamento degli atti della sessualità secondo la sequenza matrimonio-sesso-figlio.
In questo ambito l’enfasi sulla novità della verginità cristiana non ha condotto a sviluppare una originale rilettura degli affetti, anche quelli propri della relazione uomo-donna, ma piuttosto ha favorito un accento non sempre equilibrato sulla cosiddetta “castità coniugale”.
(…) L’attuale temperie storica e sociale vede l’amore inteso quasi come una nuova “religione” non più normata da codici generali vincolanti, ma dai modi con cui ciascun individuo s’immagina come amante e agisce di conseguenza. Senza rinunciare a denunciare gli equivoci e le palesi contraddizioni di questa mentalità dominante, i cristiani oggi sono chiamati a essere «interpreti consapevoli e appassionati della sapienza della fede in un contesto nel quale gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali, nella loro vita affettiva e familiare. Nel limpido proposito di rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dobbiamo dunque guardare, con intelletto d’amore e con saggio realismo, alla realtà della famiglia, oggi, in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre» (Summa familiae cura). Non sfugge quanto a questo livello siano in gioco il senso fondamentale dell’origine e della destinazione, dell’identità e della qualità dell’essere-umano.
Per queste ragioni nell’attuale cambiamento d’epoca un rinnovato impianto riflessivo intorno al matrimonio e alla famiglia può non solo rigenerare l’azione pastorale della comunità ecclesiale, ma ancora di più misurarsi da protagonista con i grandi nodi politici, economici e sociali del nostro presente.
Il lettore attento non farà fatica a cogliere quanto l’impianto proposto possa favorire sviluppi riflessivi in molteplici direzioni: esso allora si presenta come un “progetto” che chiede non tanto di essere applicato o ripetuto, ma piuttosto di venire assunto come un segnavia capace di favorire nuove acquisizioni nelle differenti aree disciplinari (teologia e scienze umane) specifiche dell’Istituto.
Alcuni dei contributi di questo numero si assumono il compito di apripista in alcuni ambiti di rilievo: psicologia (G. Quinzi), sociologia (V. Rosito), filosofia (G. Salmeri), diritto (F. Catozzella), antropologia culturale (T. Akoha).
Nel dare alle stampe questo numero di Anthropotes la comunità accademica del nostro Istituto è consapevole di intraprendere una nuova tappa del suo cammino, ben sapendo che esso non potrà procedere spedito senza un dialogo serrato con quanti hanno a cuore l’uomo, il matrimonio e la famiglia, nella serena certezza che la riflessione accademica nella vita della chiesa tanto chiede di essere rigorosa, quanto sa bene di essere totalmente al servizio della sua missione nel mondo.
Sintesi dell’editoriale del numero 36 di Anthropotes
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