«Contro le leggi ingiuste ci sia fermezza nella denuncia»
di Luciano Moia
Dio e Cesare, nessuna contrapposizione. Anche la sfera sociopolitica è, in qualche modo, volontà divina. Ma Dio ha lasciato alla nostra responsabilità l’impegno di costruire il bene della casa comune.
Lo spiega don Giovanni Cesare Pagazzi, docente di ecclesiologia familiare al ‘Giovanni Paolo II’ e di estetica del sacro all’Accademia di Brera a Milano.
Come si concilia in una prospettiva di fede il rispetto della sfera religiosa con quello della sfera politica?
“Con tonalità distinte, politica e religione parlano dell’irrinunciabile dimensione relazionale degli esseri umani. Ciò non ha nulla di astratto. Anzi. Basta pensare alla camicia o alla maglietta che indossiamo. Al nostro posto qualcuno ha coltivato il cotone. Qualcun altro lo ha filato e colorato. Al nostro posto qualcuno lo ha tessuto, confezionato, trasportato e venduto. E qualcuno ha costruito i negozi dove si vendono gli indumenti. C’è un’intera umanità che lavora al nostro posto, affinché noi possiamo occupare il posto che ci spetta. È l’umanità tutta che continua (o dovrebbe continuare) l’amicizia verso la nostra vita, quella provata dal papà e dalla mamma per il loro bambino, fin dall’inizio. Politica e religione onorano, ciascuna secondo il proprio irrinunciabile modo, il debito, l’amicizia che precede e accompagna ogni vita. Per il credente è Dio stesso ad averci creati proprio così. Avrà ben voluto dirci qualcosa anche grazie questo semplice fatto!”
Se il primato di Dio si estende, com’è evidente, anche sulla storia e sulla vita di ciascuno di noi, non rischia di essere difficile definire questo confine?
“Riconoscere il primato di Dio non significa solo e innanzitutto ammettere una sua generica superiorità. Ma riconoscere la sua precedenza. Esattamente come quella di una donna e di un uomo rispetto ai loro figli. Hanno il primato, poiché vengono ‘prima’. Senza questo ‘prima’ non ci sarebbe nessun figlio che, appunto, viene ‘dopo’. Nella misura in cui la politica promuove la fraternità – come recentemente auspicato da papa Francesco in Fratelli tutti – e quindi previamente riconosce un’origine comune che precede (non siamo i padroni della vita né del mondo), non ci sarà nessun problema di confini da difendere da parte della politica e da parte della religione Il Papa parla del dovere di osservare le “leggi giuste”. Ma di fronte a una legge considerata “ingiusta” come dovremmo comportarci?
Papa Francesco richiama alla necessità del dialogo che crea l’atmosfera, l’ambiente, la cultura dove germinano leggi giuste e si correggono quelle ingiuste. Francesco ricorda che il conflitto può essere una figura faticosa e drammatica, eppure promettente nella dinamica del dialogo. Esso richiede agilità, plasticità, flessibilità e tempi lunghi. E tuttavia prende avvio solo quando le posizioni si precisano e risultano identificabili magari anche attraverso la fermezza della denuncia e dell’accusa”.
Sbagliato pensare che, per essere buoni cristiani, non basti educare alla legalità, ma sia necessario anche lavorare per costruire una ‘legalità giusta’?
‘Costruire’. Ecco il verbo meraviglioso. Innanzitutto si costruiscono le case, dove si custodiscono le persone e le cose più care. Dove si impara a fidarsi e affidarsi, a camminare e parlare, a stare, entrare e uscire, a litigare e far pace. La “legalità giusta” è garantita dalla misteriosa parola “economia”. Essa non significa solo “la regola della casa”, ma soprattutto “la regola che è la casa”. Se le leggi rispettano e promuovono le dinamiche tipiche della casa, sono giuste, edificano, costruiscono. Nella misura in cui contraddicono la regola che è la casa, distruggono, perché pur apparendo favorevoli alla crescita dell’umanità, ne amputano la radice.
(da Avvenire)