Mons. Beschi: la Chiesa ha da sempre una visione a tutto campo sulla famiglia. Oggi è più che mai necessaria

Mons. Beschi (Bergamo): la Chiesa ha da sempre una visione a tutto campo sulla famiglia. Oggi è più che mai necessaria

Mons. Beschi (Bergamo). Di fronte alle molteplici sfide che affrontano le famiglie e di conseguenza la pastorale familiare, serve sempre di più una formazione inter e transdisciplinare, a tutti i livelli. Bene che sia presente nelle Facoltà e negli Istituti di formazione ma deve arrivare a plasmare le diocesi, i consultori, le strutture assistenziali, fino a oratori e alle scuole.

Il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, parla di pastorale familiare con Fabrizio Mastrofini, proprio nel momento in cui vengono resi noti i programmi dei corsi del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia.


Ascolta l’intervista a Mons. Beschi:


Mons. Beschi: quali sono le sfide più importanti della pastorale familiare?

È interessante leggere il Magistero di Papa Francesco sul tema delle sfide che vengono rivolte alla famiglia e dunque anche alla pastorale familiare. La Chiesa ha da sempre una attenzione forte verso un soggetto così decisivo per la vita sociale, una attenzione radicata nel Vangelo. Sottolineando alcune delle sfide indicate da Papa Francesco, ce ne sono tre interessanti. La prima la riassumerei così: dobbiamo prendere in considerazione il contesto. A volte immaginiamo una famiglia connotata dalle virtù cristiane e relegata nel passato. Una specie di visione nostalgica di una famiglia di altri tempi come poteva essere la mia o quella dei miei nonni, dunque collocata in altri tempi. Oggi una sfida è la possibilità di incarnare il Vangelo nelle situazioni familiari a partire da questo contesto. Ad esempio prendiamo in considerazione i tempi della famiglia di oggi: sono evidentemente molto diversi da quelli di ieri. Ed allora il contesto disegna la vita della famiglia. La seconda sfida: la dinamica relazionale, a tutto campo, tanto più tra i coniugi, i genitori, i figli, i fratelli, sono un kairos, un luogo provvidenziale. A fronte di questa epidemia che è la solitudine, tutti avvertiamo l’importanza della relazionalità, anche quando fatichiamo ad approdare a relazioni significative. La relazione è ciò che desideriamo più profondamente. La famiglia è il luogo per eccellenza dell’esperienza relazionale sin da quando nasciamo. Dobbiamo cogliere e valorizzare questo luogo di relazione, di grazia, per tutti, anche per chi non è cristiano. La terza sfida che sento molto forte e interpella la comunità cristiana è di «scardinare» il sistema di privatizzazione della famiglia. La cultura – anche noi cristiani dobbiamo fare un esame di coscienza – si è orientata verso una privatizzazione della famiglia. Un conto è dire che la famiglia è luogo privilegiato di relazioni personali, dove il soggetto persona viene riconosciuto i dovrebbe venire riconosciuto nel modo più alto. E altro è dire che la famiglia sia un fatto privato. Relegarla all’ambito del fatto privato, sia nella società e sia a volte anche nella Chiesa, ci interpella profondamente e ritengo debba essere superato.

Mons. Beschi, la denatalità affligge la società italiana ed implica problemi economici e sfiducia nel futuro. In che modo la Chiesa può riaccendere una visione positiva di vita familiare?

La domanda è di grande portata, proprio per come viene espressa. In che modo riaccendere il grembo fecondo della famiglia? Da parte della comunità cristiana, della Chiesa, del Magistero, c’è stata grande attenzione. Oggi scontiamo scelte – non personali – ma culturali e sociali che in Occidente hanno portato alla contrazione demografica così preoccupante. La Chiesa allora deve creare a tutti i livelli le condizioni e dunque un clima culturale, sociale, comunicativo, a favore della famiglia. La comunicazione è a mio avviso un elemento di enorme importanza in quanto rappresenta e genera cultura. La Chiesa deve contribuire a creare un clima affinché la possibilità di generare trovi condizioni favorevoli. Un clima vuol dire creare concretamente condizioni sociali, politiche, economiche, affinché la coppia avverta la possibilità di realizzare il suo sogno. Inoltre la Chiesa ha dalla sua la via della testimonianza. Abbiamo davanti agli occhi delle famiglie ispirate dalla positività della fede, che esprimono la gioia della generazione. Un altro elemento ancora che riguarda la Chiesa ha a che fare con la fraternità. Le nostre parrocchie dovrebbero assumere tratti della famiglia attraverso l’esperienza fraterna. Una delle conseguenze dolorose della contrazione delle nascite è nel venir meno dell’esperienza della fraternità, sperimentandola a partire dalla parrocchia. In positivo vedo che diversi giovani nelle nostre parrocchie desiderano realizzare esperienze comunitarie residenziali, per qualche tempo breve o più lungo, insieme ad altri giovani, in un contesto ricco di valori per sperimentare insieme la fraternità che non possono più trovare nelle loro famiglie. Dunque questa attesa di fraternità può trovare nella comunità cristiana una risposta forte. Inoltre mi sembra ci siano anche dei giovani che privilegiano scelte o stili di vita differenti da quelli suggeriti dai modelli sociali ed economici di oggi, e per loro invece l’apertura alla vita è una caratteristica. Infine vorrei sottolineare come l’annuncio della vita eterna che scaturisce dalla Risurrezione di Cristo sia un orizzonte nel quale collocare le più grandi speranze. Generare un figlio è annuncio di speranza, un annuncio capace di superare l’orizzonte del quotidiano, un segno.

Papa Francesco in Veritatis Gaudium parla di una formazione inter e trans disciplinare in dialogo tra teologia, antropologia, scienze. In concreto, mons. Beschi, come vede questa prospettiva nella formazione di operatori ben preparati?

La formazione inter e trans disciplinare deve progressivamente collocarsi a qualsiasi livello. Va benissimo nella Facoltà, nelle Università, nelle Specializzazioni. Ritengo non sia sufficiente: a partire da questi vertici discenda a livello di seminari, Istituti superiori di religione, formazione permanente di preti diaconi e consacrati, formazione di operatori pastorali e anche per gli specialisti coinvolti nei consultori, nelle strutture assistenziali, fino alle scuole e agli oratori. La proposta di una formazione inter e trans disciplinare non mi sembra sia ancora la caratteristica dei percorsi formativi a tutti i livelli nella Chiesa. Ritengo che tale metodo non sia solo necessario ma anche molto fecondo.

Forse un ostacolo a questa proposta formativa, mons. Beschi, deriva dal fatto che a volte si sente dire che parlare di famiglia ‘a tutto campo’ (psicologia, antropologia, sociologia, bioetica…) possa mettere in ombra la morale matrimoniale di Familiaris Consortio e Humanae Vitae. Qual è la sua opinione?

Per 15 anni a Brescia ho diretto l’ufficio di Pastorale della Famiglia ed è stata un’esperienza di grande arricchimento. Un’esperienza profondamente segnata da Familiaris Consortio e da Humanae Vitae, testi del Magistero che hanno ispirato la mia azione, così come ero capace di realizzarla  nella mia diocesi. Già in quei documenti potevo cogliere una visione a tutto campo della famiglia. E non è una novità la visione a tutto campo. Già documenti della Chiesa italiana come Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio – andiamo indietro al 1975 – evidenziano lo sguardo ampio della Chiesa. La prospettiva ecclesiale non è mai stata un discorso solo morale o a sfondo antropologico, è sempre stato un discorso ampio a diversi livelli. Familiaris Consortio e Humanae Vitae sono stati documenti che hanno aperto una visione a tutto campo. Oggi dobbiamo riconoscere che il campo continua ad allargarsi, ampliarsi, modificarsi. Abbiamo sempre bisogno di rileggere quei documenti lasciando che il contesto odierno ci interpelli.

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