Le conclusioni di Vincenzo Rosito al termine della presentazione di “Famiglia e apprendimento sociale”: una trascrizione richiesta e necessaria

Riportiamo l’articolo pubblicato sul blog di Andrea Grillo “Come se non” e rilanciato da Settimana News

Dopo la presentazione del volume che qui viene recensito, avvenuta ieri pomeriggio, 30 maggio 2025, a Roma, presso l’Istituto Giovanni Paolo II, ho chiesto all’autore di scrivere quello che ha detto nelle sue conclusioni, per pubblicarlo come un post del mio blog. Mi pare che sia il modo più bello e più utile per capire il valore del libro che ha scritto. Sono convinto, infatti, che questo lavoro possa favorire una nuova impostazione degli studi su matrimonio e famiglia, con un lavoro di équipe, come chiedono le pratiche che occorre oggi onorare, nella cultura contemporanea come nella chiesa del presente e del futuro. Ringrazio Vincenzo per aver accettato di scrivere questa “autorecensione”, che considero un testo assai lucido e di grande rilievo per impostare bene lo studio della teologia. (ag)

AUTORECENSIONE

Presentazione del volume “Famiglia e apprendimento sociale” – 30.05.2025

di Vincenzo Rosito

Ripercorrendo la genesi e l’elaborazione di questo libro mi riconosco debitore nei riguardi di una persona e di una comunità.

La persona è certamente papa Francesco, infatti le radici del libro affondano nei giorni in cui tutti leggemmo per la prima volta il proemio di Veritatis gaudium. Quelle pagine contenevano il sogno di nuove comunità di apprendimento chiamandoci a un lavoro comune sull’aggiornamento metodologico degli studi ecclesiastici. In quel modo Francesco consegnava, soprattutto alle istituzioni accademiche, non solo un programma di lavoro, ma un invito a riscoprire la passione istituente che caratterizza ogni autentica impresa di apprendimento comune.

Negli anni trascorsi con Francesco abbiamo non solo visto “cose nuove”, ma ci siamo mossi, ci siamo spostati da dove eravamo. In questo senso, abitando nella stessa chiesa, abbiamo condiviso speranze. Molti hanno riscoperto il coinvolgimento collettivo di chi impara a “fare altrimenti” alcune cose che sembravano scontate. Se da un lato Francesco ha restituito al Popolo di Dio l’entusiasmo di apprendere, mostrando che è possibile “fare altrimenti” una lezione, un seminario, una tesi o un libro. Dall’altro, immettendo la chiesa nella processualità dell’esperienza sinodale, Francesco ha mostrato l’entusiasmo di poter “fare altrimenti” anche un’assemblea ecclesiale, un incontro di catechesi, una celebrazione liturgica. Non si è trattato tanto di guidare o di orientare, bensì di appassionare. Abbiamo visto un nuovo modo di esercitare l’autorità: creando le condizioni per molteplici imprese comuni. Animo! Questa è stata la sensazione che in molti abbiamo provato e condiviso: con occhi colmi di futuro e mani ricolme di giorni, abbiamo ricollocato le “imprese comuni” lì dove storicamente stanno ovvero nei luoghi della vita, nell’orizzonte trasformativo del quotidiano di ogni comunità o raggruppamento cristiano.

In questo contesto è nato in me il desiderio di trovare una categoria più profonda di altre, un concetto più fine per dire quello che ci stava accadendo. È così che ho trovato nell’apprendimento la forma dei molteplici gesti che “danno animo” alle imprese comuni nella chiesa. Apprendere significa infatti trovare la strada insieme dentro situazioni che non si comprendono pienamente. Nell’apprendimento così figurato, l’accento non cade mai necessariamente sullo sforzo volitivo e solitario di uno solo, ma è sempre sbilanciato verso la valorizzazione dei tentativi e degli adattamenti, dell’improvvisazione e della sperimentazione, degli aggiustamenti e delle riletture da parte di molti. Sotto questa luce, dentro questo sguardo collettivo e abilitante, anche le forme di vita – come la stessa famiglia nucleare borghese – sono esse stesse spazi di apprendimento. Non è forse la famiglia, ogni famiglia, prima di tutto uno spazio progressivo e relazionale in cui facciamo tentativi, ci adattiamo costantemente agli “spostamenti” degli altri, sperimentiamo e talvolta improvvisiamo nuove modalità di volerci bene, riaggiustiamo le distanze che ci avvicinano o ci separano, rileggiamo insieme la “nostra storia insieme”?

Analizzare oggi le famiglie contemporanee attraverso la lente dell’apprendimento sociale significa spostare decisamente il baricentro della discussione teologica e interdisciplinare dal “riduzionismo essenzialistico” delle forme di vita (come ha giustamente fatto notare Andrea Grillo), al dinamismo sperimentale delle forme di apprendimento che scandiscono le vite di coloro che fanno famiglia. Solo adottando questo radicale slittamento prospettico è possibile accorgersi che l’apprendimento non è mai rimediale, ma è sempre istituente. Apprendere (mentre studiamo, giochiamo, collaboriamo, facciamo una gita insieme) non è mai soltanto un modo per sopperire a una mancanza, non è mai il tentativo di riempire un vuoto, colmando il buco o la sete di conoscenza. Apprendere invece significa sostanzialmente impegnarsi in due attività: assemblare collettivi e convocare saperi.

Tali gesti riguardano e interpellano in maniera urgente soprattutto le istituzioni dell’apprendimento formale (scuole, università, istituzioni formative). Per questo ribadisco che non è solo urgente, ma soprattutto appassionante rifare lo Studium oggi. Lo dico ancora, Animo! Ci vuole animo per contrastare la “naturalizzazione dell’infelicità nel mondo accademico” (Stefano Harney, Fred Moten). L’animo è insorgenza, anzi l’animo è insorgente, non è solo coraggio o volitività, ma disponibilità al coinvolgimento collettivo, all’istituzione di nuove aggregazioni impensate, all’alleanza di tra soggetti e mondi lontani. Avere animo, nelle imprese di apprendimento sociale, significa aggregare corpi collettivi che “studiano insieme”. C’è infatti “un modo di essere intellettuale che non sia sociale?” Per questo assemblare nuovi collettivi di studio (intergenerazionali, transdisciplinari, transnazionali) significa anche convocare saperi, comporre cioè non architettoniche multidisciplinari per verniciare di pluralismo metodologico i curricula accademici, ma fondare e moltiplicare comunità (anche informali) di apprendimento che sappiano lavorare altrimenti.

L’altro debito che mi preme riconoscere è quello verso la comunità accademica del Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II. Questo libro non nasce soltanto dal desiderio di dare seguito e forma ad alcune intuizioni personali, ma dal desiderio di collocare le parole, le narrazioni e le intuizioni di molti studenti dentro uno spazio di apprendimento riflessivo. Potrei dire che questo libro non emerge tanto dalla ricerca, quanto dalla didattica. Sono infatti convinto che le intuizioni più importanti e significative si nutrono all’interno dei dialoghi didattici e devono essere comprovate costantemente nell’incedere ordinario di corsi, lezioni, seminari, laboratori. La circolarità tra ricerca e didattica costituisce il dinamismo più entusiasmante e sorprendete che un dipartimento o un istituto universitario possano ospitare. La corrispondenza tra insegnamento e investigazione è ancora oggi il luogo massimamente resistenziale e istituente di ogni realtà accademica. È il luogo in cui “abbiamo animo” di fare.

Sono sempre più convinto che per sostenere e alimentare tale circolarità dinamica non basta saper ascoltare gli altri, è necessario invece mettere gli altri nelle condizioni di poter parlare. Sebbene questi due gesti o attitudini siano interconnessi e complementari, creare le condizioni per dirsi e potersi raccontare diventa oggi il presupposto fondamentale di ogni comunità o aggregazione accademica di apprendimento. In una famiglia, così come in un dipartimento di teologia o di filosofia, possono esserci questioni che non affiorano, domande che non trovano la forza per essere poste, realtà ed esperienze che non sono “dicibili” perché costerebbe troppa fatica, troppo coraggio per pronunciarle. Animo! Ci vuole animo e dovremmo continuare a trovarlo, perché la “possibilità di dirsi” diventi un criterio condiviso e verificabile nelle pratiche familiari, così come nelle pratiche dell’apprendimento accademico.

 

Saper ascoltare e potersi dire: una autorecensione (di Vincenzo Rosito)

Settimana News: Una Chiesa in apprendimento

 

Share