«La famiglia chiede risposte. La Chiesa abbia più coraggio»

di Luciano Moia

Guardiamo alla vita reale dei giovani sposi. Le famiglie rappresentano la nuova frontiera della pastorale e della teologia. Pur nella loro frammentazione devono essere protagoniste del cammino sinodale e della ricerca teologica che deve nutrirsi con più coraggio della vita reale delle coppie e deve guardare alle aspirazioni dei giovani sposi che desiderano formare una famiglia aperta e fraterna, impegnata in un’economia solidale, nel rispetto della natura e nella sobrietà. Ecco perché “è importante prestare attenzione a questi mutamenti culturali per inscriverli meglio in una teologia del corpo, della vita sociale e del cosmo”.
Lo spiega monsignor Philippe Bordeyne, nella sua prima intervista come nuovo preside del Pontificio Istituto teologico ‘Giovanni Paolo II‘.

Monsignor Bordeyne, viviamo in una società sempre meno a misura di famiglia. E la famiglia cambia, si disgrega, si parcellizza per rispondere alle esigenze della società. Pastorale e teologia sono adeguate per queste famiglie del terzo millennio, secondo quanto indicato da Amoris laetitia?

“La famiglia cambia perché il mondo si trasforma. La pandemia planetaria ne è stata l’elemento rilevatore, mettendo in luce le frammentazioni che danneggiano i più vulnerabili, ma anche enormi risorse di generosità. Il futuro di un pianeta più fraterno dipende da noi. Le famiglie hanno un ruolo essenziale da svolgere in questa trasformazione sociale: sono state indebolite dalla crisi ecologica e sanitaria, ma allo stesso tempo sono più solidali tra loro. Nel 2015 Papa Francesco ha scritto che la vera teologia si forgia sulle frontiere. Penso che la famiglia sia diventata una nuova frontiera, ma in pieno subbuglio. Di fronte al mistero dell’amore familiare, alla sua grandezza e alle sue miserie, la Chiesa deve essere allo stesso tempo più umile e più ambiziosa. Si aspetta persone impegnate nella pastorale e nella teologia”.

L’istituto ‘Giovanni Paolo II‘ ha conosciuto negli ultimi anni un cambiamento importante proprio per rispondere alla svolta richiesta dall’Esortazione post-sinodale. Come andare avanti in questo progetto di rinnovamento?

“Con san Giovanni Paolo II, papa Francesco condivide la convinzione che dobbiamo mobilitare tutte le risorse della conoscenza per discernere la chiamata dello Spirito Santo attraverso gli avvenimenti della storia (Amoris laetitia 31). Nella Veritatis gaudium chiede ai teologi l’audacia di una ricerca più interdisciplinare. La missione dell’Istituto Giovanni Paolo II è quella di portare la teologia in dialogo con l’esperienza delle famiglie e con le altre scienze. Con questo spirito, assumo i miei impegni con un paio di professori che condivideranno con monsignor Gilfredo Marengo il ruolo di vicepresidi: Milena Santerini, docente di pedagogia e Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea. La loro ricerca, radicata nell’amore coniugale e il loro volontariato con le famiglie in situazioni di precarietà, ci aiuterà a rispondere meglio alle sfide dell’oggi”.

Esistono temi importanti affrontati da Amoris laetitia che non trovano ancora rispondenza in modo specifico negli insegnamenti proposti dal ‘Giovanni Paolo II‘. Penso per esempio al problema delle famiglie immigrate. O alla pastorale per le persone omosessuali. Non crede sia arrivato il momento di affrontare questi temi anche sul piano didattico?

“All’Istituto Giovanni Paolo II trovano posto, secondo modalità da definire collegialmente, tutte le domande su cui i giovani si interrogano riguardo all’affettività e al matrimonio. E anche quelle che coinvolgono i coniugi e tutte le altre persone indipendentemente dal loro contesto affettivo e familiare. È una fortuna che il Consiglio d’Istituto riunisca teologi di diversi paesi. Oltre alla sede centrale di Roma, sono ben sette le sessioni internazionali che dovrò coordinare, in Benin, Brasile, Spagna (2), Stati Uniti, India e Messico. Di fronte agli sconvolgimenti economici e culturali che stanno toccando le famiglie, non ha senso costruire muri. Se vogliamo stare alle frontiere esistenziali, il contributo della riflessione internazionale è inestimabile: ogni teologo porta la sua esperienza dell’incontro tra il Vangelo, la propria cultura e le sfide globali”.

C’è un aspetto della vita coniugale e familiare che lei ritiene importante approfondire con particolare attenzione?

“La ricezione di Amoris laetitia presuppone che le famiglie siano protagoniste del cammino sinodale che ci accompagnerà fino al 2023. La teologia potrebbe nutrirsi maggiormente del senso della fede che le coppie maturano quando coltivano la gioia dell’amore coniugale, parentale e filiale nella vita quotidiana, confidando nel Signore e nella comunione dei santi. Oggi i giovani si sposano perché aspirano a formare una famiglia aperta e fraterna, impegnata in un’economia solidale, nel rispetto della natura e nella sobrietà. La Chiesa deve prestare attenzione a questi mutamenti culturali per inscriverli meglio in una teologia del corpo, della vita sociale e del cosmo”.

Come teologo lei ha scritto riflessioni importanti sulla dimensione sociale del matrimonio. Crede che questo valore sia ancora attuale? Non pensa che anche su questo punto ci sia tutto un linguaggio da rinnovare?

“Dobbiamo ascoltare le aspirazioni dei giovani per sollecitare nuove forme di vita sociale in cui possano trovare un significato. È quello che si può osservare nelle start-up così come nel volontariato internazionale, e che la pandemia ha sicuramente accentuato. L’immagine trasmessa dalla famiglia cristiana è spesso troppo lontana da queste aspirazioni contemporanee. Occorre riscoprire il sapore del Vangelo: Gesù ha saputo chiamare i giovani con un grande desiderio di trasformazione sociale. Papa Francesco spiega in Fratelli tutti che l’amore universale inizia nella sfera locale, dove l’amicizia sociale si manifesta in modo molto concreto. La famiglia è uno di quei luoghi della verità, dove si forgiano le più alte ambizioni per il futuro dell’umanità. Questo è il motivo per cui rimane così attraente. Papa Francesco ha voluto che quest’anno fosse dedicato ad Amoris laetitia anche per le difficoltà legate a una ricezione che non è andata secondo le attese. Qualche resistenza, qualche incertezza, ma forse anche un po’ di difficoltà – con molte differenze nel quadro mondiale – nel tradurre in prassi pastorale ordinaria le indicazioni sinodali. Perché si è creata questa situazione? Papa Francesco sa che i cambiamenti che ci chiede sono esigenti. La sua forza è quella di cogliere chiaramente le fratture del nostro tempo, senza mai scoraggiarsi perché crede nella misericordia di Dio e nella potenza infinita della Grazia. Per questo è paziente, ma senza rassegnarsi. È pieno della gioia del Vangelo e cerca di trasmettercelo. Vuole che questa gioia trasformi profondamente il modo in cui accogliamo e incoraggiamo gli sforzi delle persone nell’ambito della famiglia, anche e soprattutto quando incontrano un fallimento nel loro cammino”.

(da Avvenire di domenica 26 settembre)

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