Oltre il proprio focolare

di Charles De Pechpeyrou 

Descrivere e promuovere il ruolo dell’amore familiare nella trama del territorio e della fraternità universale: questa è l’idea portante del ciclo di convegni organizzati dal Pontificio Istituto Teologico «Giovanni Paolo II » per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, in occasione dell’Anno Famiglia Amoris laetitia, il cui primo appuntamento si è svolto venerdì 19 sul tema «Abitare oltre i limiti della propria casa. Famiglia, comune, fraternità». «L’abitare delle famiglie infatti riguarda non solo la vita che si svolge dentro le case, ma anche la vita che si svolge al di fuori, che si svolge attorno alle case, la vita condotta negli spazi aperti o negli spazi che abbiamo in comune», ha sottolineato Vincenzo Rosito, docente all’Istituto, in apertura dell’evento organizzato in collaborazione con il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la vita e la diocesi di Roma. Interrogandosi poi sulla possibilità di «forme di godimento non proprietario degli spazi comuni, di accoglienza e di ospitalità che non facciano nemmeno arrossire l’ospite, che non gli facciano provare imbarazzo per l’accoglienza offerta», Rosito ha ritenuto necessario «avvicinare l’amore domestico all’amicizia sociale, mettere in comunicazione la vita familiare con la carità politica».

Nel suo discorso introduttivo, monsignor Philippe Bordeyne, preside dell’Istituto, ha ribadito dal suo canto quanto il tema dell’“uscita” sia tanto caro a Papa Francesco, uscita che riguarda sia la Chiesa che la famiglia come Chiesa domestica, aprendosi a nuovi spazi sociali e culturali, accogliendo persone vicine e lontane. Traendo spunto dal pensiero di Papa Francesco, secondo il quale «il tempo è superiore allo spazio», Bordeyne ha affermato che «abitare oltre i limiti della propria casa» è in primo luogo rifiutare di bloccare lo svolgimento del tempo e della storia. «Poiché la famiglia è legata a degli affetti profondamente radicati in noi, può essere oggetto di ogni forma di conservatorismo, o al contrario di iconoclastia quando si cerca di liberarsi da storie complicate», ha aggiunto il preside dell’Istituto. «Come dice il concilio Vaticano II — ha concluso — la famiglia è soggetta alla storicità, che ci obbliga a discernere nel tempo lungo ciò che è bene per l’essere umano in termini di famiglie».

Nella sessione mattutina, durante la quale i partecipanti hanno cercato di disegnare lo scenario biblico e teologico per avviare una riflessione condivisa su famiglia, comune e fraternità, è intervenuta in particolare la biblista francese Anne-Marie Pelletier, soffermandosi sul modo in cui percepire le Sacre Scritture «come luogo fondatore della chiamata che riceviamo dalle parole di Amoris laetitia — “vivere” oltre i limiti della propria casa — perché la vita delle famiglie, delle comunità, delle società sia vissuta in un dinamismo di accoglienza dell’altro, inclusione, relazioni in sinergia». «Gli itinerari del Vangelo sono scanditi da incontri, che significano il tempo nuovo in cui nessuno è indegno o troppo lontano per essere escluso dalla salvezza», ha ricordato la teologa. «Facendosi così prossimo di ogni altro essere umano, Gesù rivela il Padre. Ma contemporaneamente insegna la verità del doppio comandamento dell’amore: amare Dio amando il fratello, cioè andando verso l’altro che diventa prossimo». Scegliendo come riferimento scritturale biblico a Fratelli tutti la parabola lucana del Buon Samaritano, «Papa Francesco ha ricordato che questa conversione del rapporto con l’altro è l’unica via di realizzazione dell’humana communitas, di cui il mondo è carente», ha anche affermato Pelletier.

Dal canto suo, Stella Morra, direttrice del Centro fede e cultura Alberto Hurtado della Pontificia Università Gregoriana, ha proposto alcune piste di riflessione per pensare una forma di Chiesa custode del comune che progressivamente è “sparito”. La teologa ha rivolto in particolare un invito a «ripartire dai “senza rappresentanza” nel pubblico che hanno custodito un desiderio di comune», «proporre un’idea di famiglia non isola privata felice e/o contrapposizione soggettuale nel pubblico, ma vero esperimento e laboratorio di comune, con la complessità propria di questo tempo», nonché «riconoscere come un kairos le forme in cui il comune si preannuncia, con un discernimento acuto e sapiente».

I contributi della sessione pomeridiana di questa prima giornata di studi hanno poi analizzato alcuni luoghi e processi in cui il dialogo tra pubblico, privato e comune è fattivamente all’opera. «Non basta definire o giustificare i confini delle sfere del pubblico, del privato e del comune — ha detto Rosito — bisogna invece indagare i movimenti di alcune pratiche come la cura e l’ospitalità. Guarire le ferite e dilatare gli spazi dell’amore sono luoghi fondamentali per “parlare bene” della fraternità familiare in relazione alla fraternità universale».

Nel suo intervento intitolato «Prendersi cura: guarire le ferite rigenerando le relazioni sociali», Pier Davide Guenzi, dell’Istituto Giovanni Paolo II , ha indicato che «la cura si estende a quegli atti in cui si restituisce dignità all’altro, confermando il suo posto nel consesso degli umani e permettendo così di sviluppare e sostenere le proprie capacità personali, come simbolicamente espresso nel gesto di “vestire gli ignudi”». La cura, ha sottolineato il sacerdote, permette anche «di integrare chi in situazioni particolari della vita è portato ai margini della considerazione della comunità e dal flusso della vita, patisce segregazione e resta bloccato in una condizione che annulla ogni speranza».

(L’Osservatore Romano del 22 novembre 2021)