Che opera d’arte la famiglia!

di Giovanni Cesare Pagazzi

Il genio dell’artista è in grado non soltanto di rappresentare le forme, ma anche di cogliere i contenuti dell’amore, dei sentimenti, dei bisogni. Ricchezza che andrebbe utilizzata in chiave pastorale.

Pittura, letteratura e scultura possono essere decisive per ‘leggere’ luci e ombre delle relazioni familiari. Potremmo pensare al candore del marmo di Carrara che ha preso forma nella Pietà di Michelangelo o nel suo David. Rischieremmo di dimenticare da dove arriva il bianco purissimo di quella pietra. Il Carrara è il risultato della trasformazione di rocce più antiche, nate dall’acqua e nell’acqua. Chi l’avrebbe mai detto? L’elemento più malfermo, l’acqua, è inizio di quanto è più solido e sicuro. Queste rocce si sono formate, lungo milioni di anni, in un mare caldo, saturo di sali; precipitati sul fondo, produssero una fanghiglia. In origine, il marmo più bianco era sporco come il fango. In questa melma sono caduti miliardi e miliardi di resti di esseri viventi: molluschi, pesci, alghe, plancton.
L’impasto complicato e sporco si è solidificato grazie all’enorme peso dell’acqua sovrastante. In seguito, terribili forze terrestri l’hanno sepolto sotto il fondo marino, poi spinto e innalzato, stressandolo al punto da riorganizzare la struttura dei suoi cristalli.
Ed ecco il marmo di Carrara. Acqua, mare, sali, sole, vegetali, animali, fango, cadute, sepolture, sollevamenti, nuovi sprofondamenti, pressione irresistibile, oscurità sotterranea e sottomarina, terremoti, maremoti, fratture, spinte in alto fino a raggiungere altezze montuose.

Nell’incantevole forma del David fremono queste forze. Senza contare che nella perfetta anatomia del giovane israelita, resa dalla tecnica rigorosa e ineccepibile di Michelangelo, vibrano tutte le passioni dello scultore, i suoi sentimenti e risentimenti, i bisogni, le pulsioni, i desideri presenti e passati; forze non meno potenti e prepotenti di quelle terrestri.

La Pietà, il David e i capolavori d’ogni tempo sono belli, perché chi li osserva sente la scossa di forme e forze in cui lampeggia il mistero delle cose e dell’uomo. Non solo le forze: affetti, sentimenti, emozioni, passioni, spinte, pulsioni: prima o poi ci si troverebbe sul piano inclinato verso il confuso, l’informe, l’attrazione per la morte e il nulla (come in alcune espressioni dell’arte contemporanea). Non solo le forme: misure, confini, equilibrio, proporzioni, simmetrie, riscontri, calcoli, concetti, norme, definizioni, regole; altrimenti si avrebbe a che fare con fossili, realtà dai contorni distinti, ma morte (come capita alla fissazione feticistica sull’arte ‘di una volta’ dove ‘le forme si capivano’).

Modificando l’ordine dei fattori – forze che prevalgono sulle forme, o forme che ammutoliscono le forze – il risultato non cambia: si spegne il palpito della vita. Perciò la bellezza non ha nulla di statico, anzi è vibrante e drammatica. È l’innesco di processo anche doloroso, poiché capace di ospitare tutta la tragicità dell’esistenza umana che comprende forze oscure.

La bellezza acquieta, placa, pacifica, rende composti, ma al contempo disturba, ferisce, incalza, esige fatica e sforzo. La bellezza ha un che di chirurgico: risana ferendo, ravviva mortificando, leva il superfluo dal blocco di marmo, dove già si trova nascosta la statua bella (almeno così diceva Michelangelo). Impossibile raggiungere il bello senza la disponibilità a sottoporsi all’ablazione dell’in-sensato, vale a dire alla recisione di quanto non ha senso, o come direbbero gli inglesi non fa senso, poiché anziché accenderli, offusca, ottunde, inebetisce i sensi. Perciò, le Sacre Scritture dicono al contempo che Cristo è ‘il più bello tra i figli dell’uomo’ (Salmo 45,3) e ‘non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere’ (Isaia 53,2). È una bellezza percossa, sfigurata, ma che non indietreggia dal testimoniare che – per chi ha sensi accesi – c’è senso! O sta a questa profondità, o la bellezza è solo un passatempo.

Un pensiero all’altezza della realtà familiare non può accontentarsi di essere un pensiero delle sole ‘forme’ (concetti, definizioni, norme, argomentazioni serrate), ma deve accettare anche la sfida delle ‘forze’ luminose e oscure che vibrano in ogni persona e relazione (bisogni, pulsioni, affetti, desideri, sentimenti e risentimenti, malinconie, manie). Considerando solo le forme, ne verrebbe mortificata la reale pulsazione della vita. Dando adito solo alle forze, i contorni di ogni esperienza verrebbero dissolti nella confusione e nel pasticcio, umilianti tanto quanto la pretesa di un’astratta catalogazione. Le arti rappresentano un luogo speciale dove forme e forze si coniugano e si declinano vicendevolmente, mostrando la possibilità di un bello reale, capace perfino di esprimere e ospitare il deforme, come l’arte contemporanea giustamente reclama.

Pittura, scultura, musica, letteratura, fotografia, cinema, teatro hanno molto da dire sulla realtà familiare, trattandone esplicitamente o implicitamente. Il loro contributo al pensiero e alla pastorale familiare non riguarda solo e innanzitutto i ‘contenuti’, ma l’affinamento di una sensibilità capace di cogliere il palpito di forme e forze.

Ho accennato alla scultura. Faccio un breve rimando alla letteratura. Anche se con le migliori intenzioni, spesso si accosta la realtà familiare come fosse un dizionario o un’enciclopedia, dove è inutile affannarsi a seguire il filo del racconto, ma è sufficiente trovare l’argomento d’interesse. Ecco che allora nella famiglia si consultano ‘voci’ che definiscono l’affetto, il sesso, l’educazione, il lavoro, la casa, la generazione, le generazioni, l’economia, la perdita… Si prescinde dal fatto che la vita di una famiglia è simile a un romanzo (è più vero il contrario): si esprime in intreccio, trama e ordito, pesi e contrappesi, metafore, senso che si piega, ripiega, dispiega e spiega in una costellazione di luoghi, stagioni e personaggi. Una famiglia è come una poesia (è più vero il contrario): vibra nei pieni e nei vuoti, in esattezza e allusioni, nel nero su bianco e nel bianco su nero.

Antropologia, filosofia, teologia, scienze umane, economia, diritto, pratica pastorale sono approcci imprescindibili qualora si volesse pensare alla famiglia. Ma se si desidera fare delle dinamiche familiari la forma e la forza del pensiero (è molto più reale di quanto si immagini!), allora diventa indispensabile l’arte, dove appunto forme e forze cantano assólo facendo coro.

(da Avvenire del 4 luglio 2021)