Urgente una teologia dei legami familiari

di Luciano Moia

Obiettivo rinnovamento pastorale attraverso Amoris laetitia. Ma da dove si comincia?

Pierangelo Sequeri, preside del “Giovanni Paolo II” non ha dubbi e l’ha spiegato, con la consueta efficacia, nel dibattito teologico che ha fatto seguito alla presentazione del messaggio del Papa. Il cuore dell’Esortazione post- sinodale, al di là del dibattito infinito sul capitolo VIII, quello sui divorziati risposati, è il IV intitolato “L’amore nel matrimonio”. E cioè, ha detto Sequeri, «l’evocazione semplice e diretta del focus che caratterizza la riscoperta della teologia dell’amore coniugale di questi decenni».

Il testo scelto dal Papa per riflettere sull’amore è l’inno alla carità di san Paolo, capitolo 13 della prima Lettera ai Corinzi. «Il brano è un testo fondatore dell’amore evangelico, dell’amore rivelato, dell’amore che lo Spirito riversa nei nostri cuori». Parlare di amore però, viste le mille e spesso inopportune declinazioni della parola, potrebbe sembrare generico. Oggi, proprio in un clima di rinnovamento della pastorale coniugale, occorre una revisione anche semantica: «Un nuovo rispetto, una nuova delicatezza, una nuova profondità devono accompagnare la riabilitazione cristiana della parola amore. Questa cura riguarda anche l’amore coniugale, che la grazia del sacramento è destinata a perfezionare». Su questa strada Sequeri ha indicato due piste di approfondimento.

«L’amore coniugale – ha messo in luce – va cristianamente concepito, come uno speciale significante esistenziale dell’agape di Dio: un modo e un luogo della sua ospitalità all’interno della condizione umana, nel solco del comandamento creaturale mediante il quale Dio affida all’alleanza dell’uomo e alla donna il mondo e la storia».

Che cosa porta nell’esperienza umana del senso e della storia il progetto di un’alleanza così intima e profonda della differenza più enigmatica e misteriosa che conosciamo? Uomo e donna, ha chiarito il teologo, devono «entrambi concepirsi come servizio d’amore e presidio di fede». La seconda pista di approfondimento porta ad esaminare i «legami caratteristici delle figure proprie della costellazione famigliare – maternità, paternità, figliolanza, fraternità, genealogia e comunità devono essere più profondamente interrogati a riguardo della loro speciale attitudine a costituirsi come significanti dell’agape di Dio connessi e al tempo stesso irriducibili al significante esistenziale della coppia coniugale». Sequeri ha invocato su questo punto un deciso cambio di passo. Per troppo tempo ci si é concentrati «sull’esaltazione della profondità e dell’altezza simbolica dell’amore di coppia» e – ha concluso – è stato dimenticato il resto della famiglia.

A settembre Pierangelo Sequeri – ha annunciato al termine dell’incontro il gran cancelliere del “Giovanni Paolo II”, l’arcivescovo Vincenzo Paglia – lascerà la presidenza dell’Istituto ma continuerà ad insegnare. Al suo posto il direttore dell’Institute Catholique di Parigi, monsignor Philippe Bordeyne.

Gli spunti di Sequeri sono stati poi ripresi da Giuseppe De Simone e Franco Miano, lei docente alla Lateranense, lui a Tor Vergata, che hanno sottolineato come non ci sia «alcun automatismo nell’amore: nell’amore tra le persone, così come nell’amore di Dio dato a noi, che è il fondamento del nostro amore quotidiano. È in ogni caso alle nostre mani che l’amore è affidato, alla capacità che abbiamo di saperlo riconoscere, di custodirlo, di averne cura, avendo cura gli uni degli altri».

La ricchezza del capitolo IV di Amoris laetitia è emersa anche dall’approfondimento biblico proposto da Antonio Pitta, prorettore e docente di esegesi alla Lateranense, che ha messo in luce tre aspetti: l’amore come via sublime per tutti i carismi; la personificazione dell’amore; e il confronto con i carismi e le altre virtù teologali o biblico.

Sempre sul filone dell’analisi biblica la riflessione di Nuria Calduch- Benages, docente Antico Testamento alla Gregoriana, che come modello di ‘famiglia complessa’ ha approfondito la vicenda di Giacobbe e dei dodici fratelli. Perché anche la Bibbia si può rileggere come storia di famiglie, con tutta la loro fragilità e le loro contraddizioni. «La famiglia di Giacobbe (con tredici figli: dodici fratelli e una sorella) riflette, né più né meno – ha fatto notare la docente – la nostra storia quotidiana, intessuta di sentimenti contrastanti, di rivalità, di litigi, di invidie, di gelosie, di lotte interiori, di sofferenze che lasciano il segno e si fanno sentire nel nostro rapporto con Dio».

(da Avvenire di sabato 20 marzo 2021)