«Nella pastorale rinnovata anche studi sociali»

di Luciano Moia

Basta con la pastorale autoreferenziale. In un laboratorio pastorale che intenda davvero esprimere il meglio del “rinnovamento” auspicato da papa Francesco devono entrare a buon diritto non solo teologia e morale, ma anche gli studi sociali e gli studi che a vario titolo si occupano di cultura e di culture. Dalle ricerche che tematizzano il postcoloniale e la decolonizzazione; dagli studi sulle realtà subalterne, al campo degli studi sulle migrazioni.

L’ha spiegato ieri Vincenzo Rosito, docente di storia e cultura delle istituzioni familiari al “Giovanni Paolo” che ha sintetizzato nel trittico tematico di eredità, discernimento e comune, lo snodo attorno al quale si svilupperanno le attività dell’Istituto Giovanni Paolo II, in collaborazione con il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, nel corso dell’Anno Famiglia Amoris laetitia.

Perché l’amore «non coinvolge solo l’ordine della credenza e dell’affezione, ma interessa anche la sfera del “saper fare”, riguarda – ha argomentato – il campo delle abilità pratiche, i luoghi della creazione condivisa, dove anche gli adulti si concedono la libertà di giocare creativamente, progettando imprese comuni». L’amore non trasforma soltanto i contenuti mentali, ma modifica anche la capacità di saper fare le cose, l’abilità nel costruire e maneggiare le realtà condivise. L’amore riguarda dunque la capacità di fare il bene, di costruirlo e fabbricarlo, quasi come se il bene fosse un edificio di città.

«Le categorie di eredità, discernimento e comune sono state privilegiate per la loro capacità di coinvolgere interlocutori e soggetti di diversa natura. Queste tre parole – ha proseguito – convocano, creano assemblee potenziali che devono essere opportunamente riconosciute e coordinate. Per questo l’immagine chiave è il laboratorio ovvero una figura che indica un metodo, un modo di fare le cose, non solo un tema o una questione».  Processualità e prossimità possono diventare le coordinate di un grande laboratorio pastorale intorno alla vita delle famiglie. L’amore è amabile non solo perché dura nel tempo, ma perché è in grado di dilatare gli spazi della vita.

«Per troppo tempo – a parere del docente – abbiamo replicato, talvolta in maniera ossessiva, il modello didattico anche nei processi di trasmissione della fede o negli itinerari catecumenali. Non tutti i corsi di preparazione alla vita sacramentale possono avere la forma dell’insegnamento frontale, non tutti gli ambienti in cui la fede si comunica devono replicare la disposizione di un’aula scolastica. Il laboratorio si presenta come alternativa. Renderlo un modello utile all’apprendimento della fede è un gesto che può incoraggiare il passo maturo del popolo di Dio.

Quale sarebbe allora la novità? «Non tanto nel creare dal nulla oggetti nuovi, ma nell’usare in modo diverso le cose e le parole che già normalmente maneggiamo. Nel laboratorio non si esercita l’arte della ricombinazione, ma è all’opera il tentativo di immaginare la vita come spazio di poesia sociale ». E poi, altrettanto importante, l’uso degli strumenti. Nei laboratori ecclesiali, pastorali e culturali bisogna mettere in circolo gli attrezzi, fare in modo che gli strumenti siano maneggiabili e fruibili da tutti.

.(da Avvenire di sabato 20 marzo 2021)