“Sopravvissuta all’aborto, darei la vita per mia madre”

di Arnaldo Casali

Il grande assente nel dibattito sull’aborto che sta infuocando in Polonia e negli Stati Uniti ma anche in Umbria e nelle Marche, come sempre, è proprio il diretto interessato: ovvero il bambino. D’altra parte chi viene abortito difficilmente può parlare, ma  proprio per questo sono estremamente preziose testimonianze come quella di Loredana Franza, donna sopravvissuta ad un tentativo di aborto.

“La mia era una famiglia come tante del sud Italia” racconta Loredana, che oggi vive in Svezia, su un’isola dell’arcipelago di Stoccolma, e organizza festival jazz.

Siamo nel 1973: proprio l’anno in cui a Milano Emma Bonino fonda il Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto. L’interruzione di gravidanza è ancora illegale in Italia ma largamente praticata.

“Mia madre era una ragazza di 26 anni che viveva una vita modesta in un paesino del Salento e  aveva già partorito due figli: uno di cinque anni e un’altra che ne  aveva poco più di uno, ed era particolarmente problematica perché affetta da pertosse. Inoltre insieme al primo figlio aveva partorito un gemella morta”.

Una gemella morta?

“Aveva solo 21 anni e aveva partorito in casa, senza sapere che aspettava due gemelli. Ma quel parto si rivelò molto complicato: dopo aver dato alla luce il primo bambino continuava a lamentarsi e aveva sofferto moltissimo finché non aveva espulso il feto morto di una bambina. Questa cosa l’aveva traumatizzata moltissimo, e anche per questo decise di non portare avanti la terza gravidanza”.

Tuo padre cosa disse?

“Lui era contrario, ma lei sosteneva di non potercela fare, a vivere di nuovo quell’esperienza. Sono andati insieme da un ginecologo, che cercò di indurle un aborto spontaneo”.

In che modo?

“Le praticò un ciclo di iniezioni al termine del quale andò a fare una visita che doveva portarla alla ‘soluzione finale’. Mia madre non è mai entrata nel dettaglio, non so nemmeno a quante settimane abbia iniziato questo trattamento”.

Che cosa è accaduto durante quella visita?

“Il dottore  ha detto: ‘Signora, io non ho mai visto una gravidanza più bella di questa. Ma se lei vuole continuare, proveremo altri sistemi’. A quelle parole mia madre è scoppiata in lacrime: ‘Questo bambino mi sta aggrappato all’utero e non se ne vuole andare’. E ha deciso di tenermi”.

La tua famiglia come aveva reagito a quella decisione?

“Non ne ha mai parlato con i genitori. Vivevano tutti lontano da lei, la sorella che stava più vicino abitava a Bari, e non avevano nemmeno il telefono. Considera che a casa mia il primo lo abbiamo avuto nel 1989, quindi non credo che abbia avuto la possibilità di confidarsi e consigliarsi con la sua famiglia”.

E la famiglia di tuo padre, invece?

“Non ho avuto il tempo di approfondire questo argomento perché mia madre se ne è andata troppo presto: è morta quando io avevo diciotto anni e lei appena 44. Non ho mai potuto parlare con lei da donna a donna, quindi non so nemmeno quanto e come la sua decisione fu condizionata. Ma credo che abbia vissuto tutta questa storia in grande solitudine”.

Come ha vissuto il resto della gravidanza?

“Con il macigno del senso di colpa e la paura che quel trattamento mi avesse danneggiato. Poi il giorno del parto è venuta fuori una bambina di quasi quattro chili con le gote rosse, sanissima, e lei non ne ha più voluto parlare di questo argomento”.

Tu quando lo hai saputo?

“Raccontava spesso di quella gemella mai nata, e un giorno mi disse che anche io non sarei dovuta nascere. Mia sorella per insultarmi mi chiamava ‘aborto mancato’. Io ci ridevo, e invece mia madre si arrabbiava moltissimo. Era divorata dal senso di colpa”.

Nonostante questo tu non l’hai mai giudicata.

“Mai. Io non ho avuto la possibilità di diventare madre a mia volta, ma con il passare degli anni l’ho sentita sempre più vicina. Oggi, che ho vissuto più di lei, se potessi tornare indietro le direi: ‘Se pensi che sarai più felice senza di me, va’ avanti a fare quello che hai cominciato”.

Ti senti in colpa di essere nata?

“No, non mi sono mai sentita in colpa anche perché nessuno mi ci ha fatto sentire. Io mi sono sentita amata moltissimo, tanto quanto gli altri, anzi i miei fratelli dicono che mi ha amato anche di più. Ma ho visto il suo senso di colpa, e darei la vita pur di alleviarlo”.

Ci sono donne che hanno dato la vita per mettere al mondo i loro figli, tu l’avresti data per tua madre.

“Sì, perché mi rendo conto di quanti sacrifici abbia fatto per crescere tre figli nelle sue condizioni. Ma lei non me lo ha fatto mai pesare; sì, se potessi vorrei ricambiare il dono della vita che lei mi ha fatto, ed è morta così giovane”.

(trasmesso nello speciale Adesso in onda il Gp2 realizzato per la Giornata per la vita e pubblicato su Avvenire del 7 febbraio 2021)