L’eredita ricevuta e il nuovo progetto

di Pierangelo Sequeri

Il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia è un centro universitario internazionale di formazione e di ricerca indirizzato all’approfondimento dell’intelligenza cristiana della condizione coniugale e famigliare, in tutti i suoi nessi con la pratica ecclesiale, la vita spirituale, la cultura sociale.

La specializzazione dell’Istituto Teologico Giovanni Paolo II ne fa un unicum fra le istituzioni di alti studi della Chiesa cattolica, costituendo un centro di elezione per l’approfondimento, l’aggiornamento della riflessione teologico-pastorale e antropologico-culturale su un tema di indiscutibile centralità per il ministero della fede nell’epoca contemporanea. La costituzione pontificia dell’Istituto mette in evidenza un titolo di servizio e di rappresentanza che gli assegna una particolare responsabilità di cooperazione con il ministero petrino, soprattutto in ordine all’armonizzazione della sapienza cristiana della fede e della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Una prima fondazione dell’Istituto, per volontà del papa Giovanni Paolo II, ha dato forma e contenuto alla lungimirante intuizione di un centro di studio dedicato al matrimonio e alla famiglia. La seconda fondazione, ad opera del papa Francesco, mentre raccoglie l’eredità non certo esaurita di quella prima stagione, indirizza l’Istituto verso un più aggiornato profilo accademico e un più incisivo orientamento pastorale.

Il progetto che, nella cornice dei nuovi Statuti, orienta la nuova fase della ricerca scientifica e il corrispondente progetto dell’offerta formativa, è ispirato in primo luogo da una più ricca e articolata disposizione della materia teologica. La specializzazione dell’ambito tematico che definisce la missione dell’Istituto richiede solidi riscontri nell’ambito dei fondamentali della fede: epistemologicamente e metodologicamente all’altezza del nuovo paradigma testimoniale e comunitario della forma fidei, che il magistero cattolico sollecita vigorosamente ad assimilare teologicamente e a mettere in opera culturalmente.

Una rinnovata sapienza cristiana del matrimonio e della famiglia, armonizzata con la visione teologale della fede, deve essere più esplicitamente articolata con l’intelligenza etico-pratica complessiva della forma credente. Una vera e propria teologia della condizione teorica più idonea, fra quelle disponibili, all’elaborazione e all’argomentazione più efficaci per la trasmissione di un sapere della fede più solido, realistico, incisivo.

Molti degli aspetti che sollecitano un nuovo corso dell’intelligenza della fede, in effetti, pur riconosciuti concordemente, in linea di principio, come rilevanti, non sono per lo più adeguatamente articolati con la precisione e la concretezza che sono oggi necessarie (e possibili).

L’eredità ricevuta e il nuovo progetto coniugale-familiare, com’è noto, rappresenta uno sviluppo recente della cultura cristiana. L’impulso decisivo è venuto dall’evidenza che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto all’antropologia familiare, iscrivendola fra i temi fondamentali della condizione umana sui quali il dialogo della Chiesa con la società mette alla prova la qualità umanistica della fede.

Il grande lascito di Giovanni Paolo II è proprio l’intuizione profonda e lungimirante della necessità di elaborare organicamente e sistematicamente questo impulso, mettendo in evidenza, all’interno dello stesso magistero ecclesiastico contemporaneo, la rilevanza teologica e la centralità antropologica dell’amore umano che si costituisce come alleanza generativa dell’uomo e della donna, nel quadro dell’originale costellazione dei legami familiari che ne iscrivono – in virtù dell’etica conseguente alla grazia specifica del sacramento cristiano – l’umanesimo della persona e della communio nel dinamismo ecclesiale della fede e della missione.

Il magistero del Papa Wojtyła, da parte sua, attingeva ad un personale percorso di riflessione già innovativamente impegnato in questo sviluppo antropologico della teologia, per il tramite della fenomenologia. Questa eredità va investita creativamente lungo il solco della sua generosa audacia, evitando accuratamente di mortificarla nell’inerzia di un accomodamento scolastico del suo metodo e delle sue formule. La linea maestra di questo investimento chiede appunto una migliore confidenza con il significato che deve attualmente assumere l’elaborazione fenomenologica della forma fidei medesima: non solo quella dell’antropologia adeguata a illuminare e a sostenere culturalmente il progetto dell’amore umano che istituisce l’alleanza coniugale e la costellazione familiare.

Questo adeguamento fenomenologico dell’intelligenza della forma fidei – ancora non adeguatamente e consensualmente disponibile nella teologia cattolica – deve appunto rendere possibile la pratica di una testimonianza – ecclesiale e culturale – della verità evangelica di Dio che corrisponde al realismo dell’appello e dell’atto della fede. Il nodo risolutivo sta nel fatto che, prima ancora che la semplice integrazione di un’antropologia adeguata al suo profilo morale, questa ricomposizione realistica dell’intelligenza della fede chiede l’apporto di una cristologia adeguata al canone evangelico.

Il focus di questo adeguamento è nell’assimilazione e nella trasmissione del vincolo ontologico (cristologico, trinitario) del nesso tra l’origine dell’atto creatore, rivelata nell’agape salvifica di Dio, e la destinazione dell’ordine umano degli affetti, iscritta nella giustizia evangelica dell’amore.

(Premessa dell’intervento pubblicato su Anthropotes 36, 1-2 2020)